Politica

Interpretazioni erronee su Francesco De Sanctis

di Nunzio Dell'Erba

Il richiamo a Francesco De Sanctis (1817-1883) non è mai anacronistico per la coerenza morale della sua azione politica. Le scarne riflessioni, proposte da Giovanni Pacchiano nello scritto Il monito di De Sanctis. «Amore per il sapere», altro che mito del «saper fare» di oggi, pubblicato su «Sette/Corriere della Sera» (4 dicembre 2015, n. 49, p. 111) non rendono onore al grande intellettuale irpino e ad un Uomo che dedicò la sua attività pedagogica all’emancipazione dei ceti meno abbienti. Presentato come «il maggior storico della letteratura», l’articolista dell’inserto settimanale milanese formula interpretazioni erronee e colloca genericamente la sua funzione di ministro della Pubblica Istruzione «nel 1861-62, nel 1875 e nel 1879-81». In realtà, in quegli anni, furono ministri anche Terenzio Mamiani, Pasquale Stanislao Mancini, Carlo Matteucci ed altri come Michele Coppino e Paolo Francesco Perez.

Prima di insegnare all’Istituto universitario politecnico di Zurigo, De Sanctis fu docente presso un istituto femminile a Torino, dove ebbe anche allievi dal nome prestigioso come Ainardo di Cavour e Luigi di Larissé. Gli anni torinesi, non ricordati per nulla dall’Autore, sono emblematici per la sua attività di giornalista politico, volta ad un’aspra critica del «murattismo», ossia della via “diplomatica” favorevole ad una sostituzione del Borbone con un discendente di Gioacchino Murat. La sua futura attività politica come ministro della P. I. non si comprende senza quell’attaccamento alla monarchia sabauda, cui resterà sempre fedele: «Il dovere di tutti i partiti – scrisse nel 1855 – è di unificare i loro sforzi intorno al Piemonte, e di avvalorare nelle singole contingenze e la sua politica, la quale per forza di cose non può che essere italiana». Oltre a queste dimenticanze, l’Autore travolge il pensiero pedagogico del critico letterario irpino, che per lui è racchiuso nell’articolo La scuola, apparso sul periodico «Nuova Antologia» (agosto 1872), senza coglierne l’intrinseco significato, che si si esprime nell’unità tra pensiero ed azione con lo scopo precipuo di valorizzare lo spirito critico e razionale degli scolari. Tant’è vero che come ministro della Pubblica Istruzione rese obbligatoria l’educazione fisica nelle scuole sul modello tedesco, puntando unitamente alla formazione del carattere e all’elevazione del senso civico, che – come scrisse nel saggio La scienza e la vita edito nello stesso anno – era necessario spezzare il pane della scienza [...], perché «l’istruzione può illuminare l’intelletto, ma non può sanare la nostra volontà».