Politica

Israele in guerra: Lega al 12% e Pd sopra il 20. Che cosa cambia per i partiti

di Alessandro Amadori, politologo e sondaggista

Le conseguenze del conflitto in Medio Oriente sulle intenzioni di voto. Analisi

E' necessario che Elly Schlein sviluppi una sua proposta, e una sua decodifica della situazione, significativamente differente da quella dei partiti di maggioranza

 

Una guerra che scoppia, soprattutto se porta a un rilevante numero di perdite civili, è un evento che colpisce profondamente gli immaginari collettivi non solo dei popoli direttamente coinvolti, ma anche di quelli che vivono nell’area geografica di riferimento. Il conflitto fra Hamas e Israele, iniziato con brutali atti terroristici, ha quindi certamente colpito anche l’immaginario del nostro Paese. Con quali conseguenze in chiave politica in senso lato?

In generale, quando una situazione di pericolo minaccia un certo Paese, l’opinione pubblica locale tende a “stringersi” attorno alla maggioranza di governo. Si tratta di una legge della psicopolitica, che non riguarda solo le democrazie. Pertanto, in generale è probabile che si rafforzi sul breve termine il consenso nei confronti dei partiti di governo. Inoltre, teniamo conto del fatto che il conflitto israelo-palestinese è una drammatica rappresentazione del fatto che i rapporti fra comunità con tradizioni culturali, religiose, politiche  e sociali differenti possono essere molto conflittuali, e comportare problematiche apparentemente insanabili. Nella fattispecie, gli attacchi terroristici di Hamas possono acutizzare, nella percezione di una parte dell’opinione pubblica italiana, l’idea che la convivenza con gli immigrati di cultura islamica sia potenzialmente molto difficile. E’ quindi possibile che, sul breve, all’interno della maggioranza ottenga un consenso crescente il partito che fa tradizionalmente della questione migratoria uno dei suoi temi caratterizzanti, ossia la Lega.

D’altro canto, le situazioni di guerra portano anche a una radicalizzazione delle posizioni politiche, per cui se da un lato ci dobbiamo aspettare un generale rafforzamento del consenso verso il governo (con un possibile incremento anche significativo per la Lega), dall’altro è probabile che il principale partito di opposizione, ossia il Pd, portatore potenziale di una proposta di soluzione differente a quella della maggioranza di governo, sempre in relazione al problema migratorio, riesca a sua volta ad acquisire maggiore visibilità e a raccogliere intorno a sé un consenso maggiore, aggregando gli elettori che chiedono appunto una visione alternativa del mondo e delle relazioni internazionali. E’ possibile, ma a tal fine sarebbe necessario che Elly Schlein sviluppasse una sua proposta, e una sua decodifica della situazione, significativamente differente da quella dei partiti di maggioranza.

In definitiva, tirando le somme, l’ipotesi di lavoro è la seguente: che FdI mantenga il suo livello di consenso, e che cresca la Lega (con Forza Italia in una posizione più defilata), a centrodestra; e che il Pd incrementi il suo potenziale elettorale, a centrosinistra, purché però – come detto – sviluppi una sua lettura alternativa, e credibile, degli eventi. Con che conseguenze numeriche, per i partiti in gioco? Molto difficile dirlo, ma è possibile che la Lega, oggi attorno al 9 per cento, possa guadagnare due o tre punti percentuali nei prossimi mesi, riportandosi a quota 12 per cento. Mentre il Pd potrebbe finalmente portarsi sopra quella soglia del 20 per cento che nell’ultimo anno non è mai riuscito a superare. Vedremo nelle prossime settimane in che misura quest’ipotesi si rivelerà corretta.