Politica
Italia sempre meno atlantista e a favore dell'Occidente. Per il 71,4% l’Unione europea è destinata a sfasciarsi
L'impietoso lato politico del Rapporto Censis
Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più
Un’Italia continuamente e pervicacemente intrappolata nella “medietà”. Ma anche un Paese sempre più animato da sentimenti anti Occidente, con gravi carenze di tipo culturale. E alle prese con uno spettro inquietante: complice la denatalità e il costante invecchiamento della popolazione, in futuro i grandi patrimoni saranno concentrati in poche mani. Una sorta di imbuto della ricchezza.
Anche quest’anno il Censis racconta l’Italia e gli italiani e tra le righe del 58esimo Rapporto sulla nostra società, presentato oggi, venerdì 6 dicembre, non esita a ricorrere all’espressione «sindrome italiana». Detto in altri termini: il Paese si muove intorno a una linea di galleggiamento, senza incorrere in capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza compiere scalate eroiche nei cicli positivi. L’Italia si flette come un legno storto e si rialza dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata. Negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. Con il ceto medio che si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa) guadagna terreno l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari.
Tutto questo accade mentre è in atto una “mutazione morfologica” della nazione (l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112% in dieci anni). Di qui, la domanda: siamo preparati dal punto di vista culturale? Sembra proprio di no. Nel Paese degli ignoranti, per il 19% Mazzini è stato un politico della prima Repubblica e per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo. Nel complesso, guardano anche alle tendenze dell’economia, i conti nel sistema Italia non tornano: più lavoro e meno Pil. E poi ancora carenza di personale, ipoteche sul welfare.
E grandi incognite sul futuro, ancora più preoccupanti in quanto puntualmente accompagnate dalla sensazione che le cose, in fondo in fondo, non cambieranno. L’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale. All’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio corrisponde una crescente avversione ai valori costitutivi dell’agenda collettiva del passato: il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo.
Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha infatti segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, se non interverranno riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. Insomma, sottolinea il Censis, se il ceto medio si sfibra, il Paese non è più immune al rischio delle trappole identitarie.
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