Matteo Renzi "spennato" al bivio
Renzi “spennato” è al bivio: rilancio o ko?
Di Massimo Falcioni
S’addensano gli avvoltoi su Matteo Renzi alle corde dopo una gragnuola di colpi e suonano le campane d’allarme per il suo Partito democratico, stordito fra scissione e scandali. Non siamo al de profundis, ma la crisi morde, corrode il partito pieno di rancore per le delusioni non smaltite e logora l’ex segretario premier, un boxeur che sul ring non vede più l’avversario e tira pugni al vento. Senza svolte è una sconfitta annunciata, è già nel sentire comune della gente che, come si sa, abbandona i perdenti per saltare sul carro dei nuovi vincitori. Tradotto sul piano elettorale, il Pd continua a scivolare nelle intenzioni di voto (Atlante politico) perdendo oltre due punti (27,2%) rispetto al mese precedente, con il sorpasso del M5S, primo partito al 28,8%. Se si aggiunge l’ulteriore calo dell’apprezzamento verso Renzi (33%) si capisce bene l’aria che tira. Anche se, specie a sinistra del Pd, pur atteggiandosi a cipigliosi dispensatori di patenti politiche, gli “scissionisti” non possono esultare (Democratici e progressisti al 4%), bocciati pure dal segretario del Pse Sergei Stanishev contrario all’ingresso del Movimento democratico riformista nella famiglia socialista europea. Ciò vale anche per i competitor di Renzi alle primarie e al congresso, il magistrato-sceriffo Emiliano e il golden boy ministro dalla Giustizia (dov’è?) Orlando, entrambi avvocati del diavolo “risolvitutto”. Il fatto è che i nuvoloni che s’addensano cupi non riguardano solo Renzi e il Pd ma il Paese tutto, fra l’incudine e il martello di una crisi economica senza fine, di una ininterrotta perversa commistione fra politica e affari, di una magistratura che spesso interviene a gamba tesa, con bombe a orologeria, come pare oggi – a oltre due anni dal fatto e dalle presunte indagini – sull’inquietante affaire Consip. Nell’inchiesta, come noto, sono coinvolti il padre di Renzi e il fedelissimo ministro Lotti, un verminaio che impone la ricerca di verità con indagini adeguate anche sul piano della sobrietà non riproponendo lo spettacolo abominevole e farsesco che da un quarto di secolo domina i rapporti fra una politica per lo più maneggiona e disonesta e una magistratura spesso malata di protagonismo e politicizzata. C’è, appunto, bisogno di chiarezza e di giustizia, non di un nuovo teatrino-show col tintinnar delle manette, il replay di “Mani pulite”.
La giustizia, come si dice, faccia il suo corso e la politica eserciti il proprio ruolo, a cominciare da Renzi e dal Pd cui non vanno lesinate critiche per quanto fatto e non fatto fin qui. Siamo in presenza di una crisi profonda di direzione e di egemonia vivendo la rottura di tutto un sistema politico di alleanze (per lo più sociali e di potere) della quale il Pd dei “fratelli coltelli” e delle speranze tradite e il suo leader azzoppato debbono prendere atto. Gli italiani sono stanchi e delusi e il mutamento che sale dalla società può prendere la via del rifiuto totale verso la politica o della spinta verso le avventure destabilizzanti dei populismi di ogni colore. Come noto, un profondo mutamento politico è sempre preceduto da un profondo mutamento sociale e raramente è vero il contrario. Può questo Pd che si appresta con il congresso a tornare “ufficialmente” e in modo plebiscitario in mano a Renzi ricostruire lo sbocco politico adeguato alla crisi? L’ex segretario-premier brancola, volteggia tutt’ora sul trapezio ancora cercando luci e applausi, senza più sotto il tappeto: deve invece scendere con umiltà e accortezza, riprendere senza scossoni il partito dandogli l’anima riformista e l’ossatura democratica, imprimendo slancio e sostegno al governo Gentiloni, prepararsi con un programma credibile alle elezioni del 2018, senza nemici e amici precostituiti sapendo che le alleanze vengono dopo. Insomma, Matteo deve dismettere i panni del guascone rottamatore e dimostrare che la lezione gli è servita. La partita è complessa e ad alto rischio, specie per un leader che ha perso molte penne e per un partito che ha perso forza organizzativa, consenso elettorale, appeal morale. La politica degli annunci e il racconto dell’Italia “rosa” non funziona. Se si continua con i bonus e con la politica del giorno per giorno non inquadrata in una innovativa e fattibile strategia globale – fin qui assente - Renzi e il Pd ne usciranno con le ossa rotte. Anche il Paese?