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Politica
Meloni batte Schlein se si vota con il premierato. I numeri sono chiari

In ogni caso vittoria del Cenntrodestra, salvo l'impossibile (mettere insieme tutti da Santoro a Renzi)

La riforma del premierato proposta da Giorgia Meloni mira a rafforzare il ruolo del Presidente del Consiglio in Italia e ha alcuni punti chiave. Il primo è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio: se la riforma passasse, il premier verrebbe eletto direttamente dai cittadini tramite una votazione popolare. In secondo luogo, l’incarico del premier avrebbe una durata fissa di cinque anni, come le Camere, per garantire stabilità al governo. Inoltre, il premier potrebbe essere sostituito solo da un parlamentare della maggioranza, mantenendo la continuità del programma di governo. Infine, occorrerebbe un nuovo metodo elettorale: un’apposita legge determinerebbe un rinnovato sistema elettorale per le Camere, assegnando al partito o alla coalizione del premier il 55% dei seggi parlamentari (premio di maggioranza). Pertanto, la riforma mira a instaurare un premierato non solo nella sostanza, ma anche nella forma, rafforzando il ruolo del Presidente del Consiglio. Nelle intenzioni della maggioranza, questa riforma dovrebbe rendere il processo di elezione del premier più democratico e capace di garantire stabilità al governo.

Essendosi appena concluse le elezioni europee, con i partiti che hanno ridefinito i reciproci rapporti di forza, possiamo porci questa domanda: se vigesse il premierato, e i risultati del voto politico fossero quelli delle europee, che quadro otterremmo? Si tratta di un quesito a cui non è facile rispondere. La risposta esatta dipende da due fattori: quale sarà l’effettiva legge elettorale, e quali saranno gli schieramenti con i rispettivi candidati premier. Concretamente, l’ipotesi da cui partire è che le tre forze di centrodestra si presenteranno unite, con un proprio candidato (Fratelli d’Italia, Forza Italia più Noi moderati, e Lega, con Giorgia Meloni come candidata premier). La loro consistenza numerica, in base al voto per le europee, è del 48 per cento. Rispetto a questo schieramento, abbiamo quattro possibili scenari di concorrenza.

Il primo è che ci siano il “campo stretto” (Pd, Allenza Verdi Sinistra e Pace terra e dignità, il neonato partito di Michele Santoro), che vale il 33 per cento, e tutti gli altri (in qualsiasi modo aggregati o ripartiti), che insieme valgono il 19 per cento. In questo scenario, ci sarebbe una netta vittoria del centrodestra(48 a 33)  e la premier sarebbe Giorgia Meloni,

Il secondo è che ci siano il “campo largo” (Pd, AVS, Ptd e Movimento Cinque Stelle), che vale il 43 per cento, e tutti gli altri per il restante 9 per cento. Di nuovo, il risultato sarebbe di una vittoria, piuttosto netta (48 a 43), del centrodestra e la premier sarebbe Giorgia Meloni.

Il terzo è che ci siano il “campo molto largo” (Pd, AVS, Ptd, M5S e Azione, il partito di Carlo Calenda), che vale il 46 per cento, e gli altri per il restante 6 per cento. Di misura, 48 a 46, vincerebbe nuovamente il centrodestra e Giorgia Meloni sarebbe premier.

Infine, l’ultimo scenario è che ci siano il “campo super-largo” (Pd, AVS, Ptd, Azione e Italia Viva di Matteo Renzi), che arriva a valere il 50 per cento, e alcuni micro-partiti per il restante due per cento. In questa ipotesi, e solo in questa ipotesi, vincerebbe il “campo alternativo” (50 a 48), ma onestamente non sappiamo dire chi potrebbe esserne il candidato premier. E si tratta di un’ipotesi abbastanza di scuola, perché oggi come oggi è davvero difficile immaginare di poter mettere insieme, nello stesso schieramento, Michele Santoro e Matteo Renzi, e Carlo Calenda e Nicola Fratoianni.

In conclusione, in termini di probabilità, possiamo dire che la riforma del premierato attribuirebbe al centrodestra, nella sua composizione di base, una probabilità del 75 per cento di vincere le successive competizioni elettorali e di governare con la piena garanzia di stabilità. Indubbiamente, un notevole risultato politico.






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