Politica
Manovra, dalle pensioni all'Irpef: buoni propositi ma la vera svolta non si è vista
Così Meloni conquisterebbe anche quel ceto medio che fino a ora non può dirsi soddisfatto. Il commento
Manovra, la vera svolta non si è vista
Spunta dalla manovra un bonus di 1.000 € alle famiglie (al di sotto di 40.000 € di ISEE) per i bambini nati nel 2025. Leggendo però le altre complicate articolazioni della manovra sul sostegno alle famiglie per aiutarle nella gestione dei figli (bonus nido, congedo parentale, assegno unico, ecc.) ci rendiamo conto, ancora una volta, che siamo di fronte a gimcane normative, paletti, rapporti, moltiplicatori, spesso indecifrabili.
Qual è il risultato? Che di certo non si faranno più figli per benefici che saranno probabilmente cancellati o corretti da altri governi che vorranno mettere nuove bandierine. Parliamo solo di un sollievo (sacrosanto) per chi i figli ce li ha già, ma non c’è alcun progetto vero di incentivi alle nascite.
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Il Governo ha fatto molto per trovare risorse ma, purtroppo, finché non si ha il coraggio di costruire politiche famigliari a 360 gradi e di lungo periodo con sgravi chiari e totali allora ogni manovra sarà sempre un gioco a incastri per non cambiare nulla. Lo stesso vale per altri provvedimenti, seppure lodevoli nelle intenzioni, pensiamo al rebus sulle pensioni dove fra finestre e finestrelle oggi è praticamente impossibile immaginare la propria vecchiaia.
Vogliamo poi parlare delle’Irpef? Molto bene ha fatto Meloni a stabilizzare gli sgravi Irpef per i bassi redditi ma di rivoluzione fiscale non c’è l’ombra con lavoratori dipendenti che continuano a essere vessati (e non parliamo dei milionari ma delle fasce medie tra i 40 e oltre mila euro) così come coloro che non rientrano nel forfettario che avranno maggiori addizionali Irpef locali da versare nel 2025, in confronto a lavoratori autonomi che beneficeranno invece di un maggiore forfettario (che significa meno tasse).
Un incentivo, quest’ultimo, costoso a favore di micro imprese che non produrrà nulla in termini di crescita, sarebbe stato più saggio ipotizzare incentivi che, ad esempio, favorissero aggregazioni e fusioni fra imprese per creare nuovi campioni vincenti per competere anche sui mercati internazionali garantendo sviluppo e occupazione. È qui infatti la nota dolente della manovra Meloni che non riesce a superare la logica del patchwork degli incentivi (come fatto, va detto, dai precedenti governi) in favore di politiche industriali, liberalizzazioni e riforme vere.
A Meloni mancano ancora tre anni alla fine della legislatura, ha fatto forse un miracolo a tenere insieme la maggioranza sui conti, ora però ha davanti a sé la sfida più difficile con prospettive poco rosee su crescita economica e produzione industriale e non serviranno distribuzioni di risorse a pioggia.
Meloni non avrà scuse, anche perché dalle parti dell’opposizione al momento c’è ben poco, con una Schlein che recupera voti ma che non ha capito che l’alternativa vincente si costruisce guardando al centro e abbandonando per sempre i 5 Stelle.
Schlein suggestiona ma non convince, parla di spesa e non di merito e produttività, tante idee ma nessuna traccia di come realizzarle. Anche l’opposizione giornalistica a Meloni è in stato confusionale, si legga ad esempio il pezzo di Emanuele Felice su Domani del 29 dicembre nel quale si afferma che Meloni in economia si sta muovendo in linea con il libertario Milei, magari fosse così, invece come sostiene giustamente Panebianco sul Corriere del 30 dicembre la politica anarco capitalista di Milei c’entra zero con la tradizione politica culturale da cui proviene Meloni.
Abbia quindi il coraggio il nostro Presidente del Consiglio di ascoltare più Milei e meno Salvini, più chi ha competenze e meno la pancia della sua base, a quel punto Meloni conquisterebbe anche quel ceto medio che fino a ora non può dirsi soddisfatto e avrà obbligato Schlein a uscire dal comodo angolo della protesta.