Minzolni salvato, la risposta della politica
Minzolini e la risposta del Senato
La decisione di ieri di “salvare” il soldato - senatore di FI Augusto Minzolini già direttore del Tg 1, dalla decadenza ribaltando -tra l’altro- la decisione già presa in commissione segnala una significativa inversione di tendenza rispetto al passato e propriamente rispetto all’unica vittima illustre della legge Severino, varata dall’allora governo Monti in un clima di giustizialismo populista.
La legge infatti prevede la decadenza dei deputati e senatori che abbiano subito determinate condanne per determinati reati ed è stata applicata, come detto, proprio su Berlusconi che dovette lasciare lo scranno senatoriale facendo ricorso alla corte di Giustizia di Strasburgo.
Naturalmente vi sono anche motivi più “tecnici” -diciamo così- per cui Minzolini è stato salvato. Uno, probabilmente, riguarda lo “scambio” tra la mancata decadenza (per altri motivi puramente politici non essendoci ancora alcun processo) del ministro Luca Lotti e quella, appunto di Minzolini, con voti incrociati tra il Pd e Fi.
Ma -al di là di questo- si coglie anche una risposta al giustizialismo populista (che infatti è insorto in aula con le inaudite parole di Luigi Di Maio sulla violenza) da parte della politica che rivendica comunque una propria indipendenza dalla magistratura.
La questione è delicata perché riguarda il “meccanismo fine” di una democrazia in cui i poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo sono separati.
Occorre trovare il giusto equilibrio tra la giustizia ma anche la garanzia e il rispetto della volontà popolare.
Tuttavia, quello che è accaduto ieri (mettendoci nel pacchetto, come scritto, anche lo scambio con Lotti), ha dato nuova linfa a Berlusconi e ai Cinque Stelle, anche se per motivi opposti.
Insomma, il salvataggio di Lotti ha avuto un costo politico per il Pd che ha favorito i suoi avversari politici.