Politica

Nessuna distanza di sicurezza quando bisogna celebrare il governo

di Antonio Amorosi

Assembramento giornalisti sotto casa di Silvia Romano e la liberazione mafiosi, caso Di Matteo.Il dissenso non è consentito,la celebrazione delle istituzioni si

La legge non è uguale per tutti, lo sapevamo già. Ma vedere in ogni momento le istituzioni abusare del proprio potere perché siamo in emergenza mette il cittadino in una condizione di rigetto profondo per quelle stesse istituzioni. 

Chiedono di essere ligi, collaborativi, comprensivi quando ci sono errori. Con 30.000 morti tra cui 160 medici, voi istituzioni dello Stato italiano pensate di essere credibili comportandovi come state facendo?

 

L’assembramento dei giornalisti accatastati sotto casa di Silvia Romano a Milano e riportato da decine di foto e video pubblicati in rete è solo la punta dell’iceberg di un modo di operare. Era legittimo accatastarsi l’uno sull’altro sotto casa della cooperante liberata perché bisognava celebrare il governo? Sembra di sì, viste le forze dell’ordine mischiate alla folla: non si sono accorte dell’assembramento vietato? 

 

“Non ci sono assembramenti di serie A e di serie B”, ha sottolineato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, aggiungendo che gli “sarebbe piaciuto vedere sui quotidiani oggi, una stigmatizzazione del comportamento di giornalisti e foto operatori”.Giusto. Ma ci vogliono anche le stesse sanzioni che il sindaco minaccia contro chi si è recato ai Navigli, sempre a Milano, ed è stato accusato di assembramento, quando veniva ripreso con un teleobiettivo che ne deformava la posizione. E chiedersi quale relazione ci sia tra l’assembramento dalla Romano e le multe ai ristoratori di Milano e siamo nella stessa città. Ristoratori, multati anche altrove, perché rei di aver manifestato in piazza il loro dissenso al governo ma a distanza di sicurezza. 

La risposta c’è: il dissenso non è consentito, la celebrazione delle istituzioni e del loro potere sì.

foto di maio conto distanza sicurezza
 

I droni e il meglio dei reparti di polizia si sono accaniti contro chi in totale solitudine prendeva il sole su uno scoglio o correva in un bosco manco fossero narcotrafficanti. Sono state fatte multe, con tanto di colluttazione, a chi buttava la spazzatura senza documenti. Per il rischio assembramenti si sono addirittura impediti i funerali per mesi. Invece è scattata l’amnesia per chi in piazza si assembrava il 25 aprile per celebrare la Liberazione.

 

Prosperare sul terrore altrui è un’arte ma quando si mischia con l’inconsistenza politica genera mostri ancora più imprevedibili di quelli storici. “Dagli all’untore! Dagli!”, scriveva Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Le disposizioni del governo sembrano non aver imparato da Manzoni, trasformando ogni individuo in un potenziale untore, punibile con la prigione se non si sottomette. Ma lo stesso governo segue una prassi diversa per sé stesso, per chi lo celebra o è costretto a celebrarlo. 

 

La celebrazione delle istituzioni e del potere è ormai legge sovrana in Italia. 

Forse con lo stesso ragionamento dobbiamo celebrare non solo la liberazione della cooperante Romano ma anche la “liberazione”, in pieno lockdown, di quasi 400 pericolosi mafiosi. E non vogliamo risposte (sic!) sul perché il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede abbia cambiato idea sulla nomina del magistrato antimafia Nino Di Matteo a direttore delle carceri, l’ autorevole componente del Csm non voluto dai boss. La scarcerazione è colpa dei giudici di sorveglianza che hanno interpretato in modo sbagliato i provvedimenti del governo, fanno sapere le istituzioni. Nessuna risposta arriva invece sull’ombra pesantissima gettata dallo stesso Di Matteo sulla sua mancata nomina.

 

Dopo gli accadimenti il ministro della Giustizia ha fatto arrivare in Consiglio dei ministri un provvedimento che obbliga i giudici ad acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo prima di valutare la “liberazione” dei mafiosi. Non ci poteva pensare prima di emettere il provvedimento del governo?

Non ci sono mai abbastanza parole per rispondere a certe domande e le immagini e le figure parlano da sole.

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