Politica
Il non voto non è antipolitica ma rivolta nonviolenta
Tutto lascia prevedere che questa volta il boom del non voto sarà ancora più ridondante e forte rispetto al passato e non potrà non esser udito, anche da Giorgio Napolitano: poi si potrà seguitare, tanto per esorcizzarlo, a fingere che non esista, o a chiamarlo antipolitica e finanche populismo, mischiando le carte.
Non è la possibile prospettiva dell’astensionismo già alto in sé a far tremare i polsi, a metter paura in vista delle imminenti elezioni amministrative, Roma e Milano in testa: il fenomeno, tempo addietro, lo si definiva, in fondo in fondo, come fisiologico: nulla cioè di catastrofico!
Ma in questa squallida e deprimente stagione politica, caratterizzata da una corruzione patologica, diffusissima in ogni Istituzione, in alto come in basso, il fenomeno da fisiologico sta assumendo ben altri contorni, distanti e diversi da un semplice episodico allontanamento dalle urne. E’ pertanto assai difficile bollarlo come distacco qualunquistico dalla politica, o come disinteresse per scarsa immaturità (grande parolona!) democratica, insomma come antipolitica.
Guai a metter in evidenza la povertà delle candidature e il livello del confronto e del dibattito sul futuro delle grandi metropoli, in particolare di Roma: si rischia l'epurazione! Eppure il non voto comincia, malgrado i suoi detrattori, ad esser percepito come una inevitabile scelta politica: anzi, è la rivolta nonviolenta a una voglia di partecipazione che seppur labile viene sistematicamente e deliberatamente derisa e umiliata.
Accuratamente allora si eviterà, come si è fatto finora, di analizzare, studiare a fondo, un simile fenomeno sociale che affonda le radici in un culturame, più che in una cultura. E si continuerà a chiamarlo in tanti modi tranne che con il suo nome: rivolta o reazione nonviolenta per le continue delusioni nei confronti di una Politica profondamente malata di protagonismo, incancrenita nel carrierismo, priva di progettualità e di autonomia sia dalla Finanza che dalle Religioni.
Si tratta un fenomeno per certi aspetti nuovo, inedito, che sale e che fa ipotizzare un’astensione non tanto da indifferenza, ma da delusione: la stessa che potrebbe indurre una parte di chi vorrebbe esercitare il diritto di voto a reacarsi ai seggi ma senza indicare nessun candidato. Il sermone secondo il quale chi è assente ha sempre torto, potrebbe rimanere valido, se in giro ci fossero segnali di cambiamento. Purtroppo così non è e questa volta lo slogan usato e abusato, chi è assente ha sempre torto, deve misurarsi, fare i conti con quanti ribattono a ragion veduta che a risultare inadempienti sono i partiti più o meno personali con i loro partitini fiancheggiatori, e non gli elettori; che le finte liti e gli scandali dirompenti, portati alla luce dalla supplenza giudiziaria, visti i silenzi omertosi dei partiti, sono il moltiplicatore di una diserzione più che motivata, dolorosa ma vissuta come inevitabile.
Nonostante le vecchie e gloriose ideologie, che hanno dominato il '900, i due moloch del comunismo e del socialismo, siano morte e defunte, nessuna seria e doversa discussione si è mai avviata per comprenderne le ragioni intrinseche e profonde: ritenute indistruttibili per aver suscitato in intere generazioni promesse non mantenute di emancipazione e di liberazione umana, di uguaglianza e giustzia sociale, oggi, per il loro fallimento storico, si dovrebbe restar appesi alle vesti di un abile, fine, sapiente gesuita, Papa Francesco, punto di riferimento degli e per gli eredi dei due moloch.
Laicamente, siccome la vita vera e reale è l'oggi, il carpe diem, e non l'aldilà, se il Papa ha tutto il diritto di occuparsi, a modo suo, delle condizioni di vita della gente oltre che di coltivare i suoi devoti fedeli, ci si aspetterebbe, di contro, un sussulto di amor proprio e della propria nobile storia da parte di chi, a parole, si dichiara genericamente di sinistra, senza mai professar la parola laicità, senza mai rivendicare la laicità delle Istituzioni.
Purtroppo dirsi e dichiarsi di sinistra è ormai poco più di uno spot elettorale, di un diversivo: ognuno racchiuso o in partitino o in un club più o meno politico cerca, ostinatamente, un posto al sole, una poltroncina, e di volta in volta a secondo delle opportunità peregrina, con il cappello in mano, per un po' di visibilità, dal centro-sinistra a sinistra del centro-sinistra oppure si mette al riparo o al servizio di qualche star nostrana o europea.
Ma dov'è la sinistra? E' diventata come la Titina, Titina mia Titina, la cerco e non la trovo...E allora, rammentando la buonanima di Lenin, Che fare? Si sfoglia la margherita oppure si fa a testa o croce: Sinistra Italiana o Possibile o il Pd? Via al valzer di incontri, assemblee, convegni con tre o quattro relatori: un'ora e passa di analisi anche forbite ma il più delle volte senza soggetto. una minestra di paroloni, ad uso e consumo di una platea che pensa ad altro. ai fattacci suoi. Fine dell'opera, della messinscena e tutti a casa, chissà se più felici o ancora più delusi ed angosciati.