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Palazzi & potere
Brunetta: Governo vuole maxi stipendi in Rai? Faccia una legge

Il presidente dei deputati di Forza Italia, Renato Brunetta, ha presentato un’interpellanza urgente al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, in merito alla polemica sul tetto ai maxi compensi in Rai.

 

“Lo scorso 20 aprile – scrive il capogruppo azzurro a Montecitorio –, con lettera indirizzata alla presidente e al dg della Rai, il sottosegretario Giacomelli ha tramesso il parere reso dall’Avvocatura dello Stato in merito all’interpretazione della legge n. 198 del 2016, sull’applicabilità del limite di 240mila euro annui alle collaborazioni artistiche della Rai; il parere propenderebbe per la tesi che non include i contratti caratterizzati da prestazioni di natura artistica. Si sostiene che la clausola, contenuta nell'art.3, comma 44, della legge n. 244/2007, di esclusione delle prestazioni artistiche dall'ambito applicativo del tetto alla retribuzioni pubbliche continui ad operare, in quanto mai abrogato (né espressamente, né tacitamente). È evidente come tale tesi non possa essere condivisa.

 

È infatti irragionevole fare riferimento al contenuto della legge 244/2007; nel frattempo sono passati 10 anni e il legislatore è intervenuto ancora, in quattro occasioni diverse: con la legge n. 69 del 2009, il d. n. 165 del 2001, il Decreto Ministeriale n. 166 del 2013 e la legge n. 189 del 2016, regolando la medesima materia dei limiti alle retribuzioni erogabili dalle pubbliche amministrazioni o dalle società pubbliche, disciplinandone presupposti applicativi, contenuti, effetti e limitazioni, senza mai prevedere alcuna eccezione circa l’applicabilità del tetto ai compensi delle star.

 

Il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della Rai, con la duplice conseguenza che una deroga alla predetta limitazione può essere autorizzata solo da una nuova disposizione legislativa”.

 

Il presidente Brunetta chiede al ministro Calenda “di chiarire definitivamente che il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della Rai, e se intende, nell’ambito della propria facoltà di iniziativa legislativa, proporre una deroga specifica alla predetta limitazione, e quindi percorrere l’unica strada in grado di autorizzare tale deroga, evitando così ogni indebita erogazione di compensi superiori, e chiarendo definitivamente ogni dubbio in merito all’interpretazione dell’articolo 9 della legge n. 198/2016”.

 

 

IL TESTO ORIGINALE DELL’INTERPELLANZA URGENTE

 

 

BRUNETTA - al Ministro dello sviluppo economico - Per sapere - premesso che:

lo scorso 20 aprile, con lettera indirizzata alla Presidente e al Direttore generale della Rai, il Sottosegretario Giacomelli ha tramesso il parere reso dall’Avvocatura dello Stato in merito all’interpretazione della legge n. 198 del 2016, sull’applicabilità del limite di 240.000 euro annui alle collaborazioni artistiche della Rai;

il parere  propenderebbe per la tesi che non include, nel periodo di applicazione del suddetto limite, i contratti caratterizzati da prestazioni di natura artistica;

tale esclusione è argomentata - peraltro con espressioni lessicali perplesse e dubbiose -  sulla base di tre ordini di argomentazioni;

si sostiene, innanzitutto, che la clausola, contenuta nell'art.3, comma 44, della legge n. 244/2007, di esclusione delle prestazioni artistiche dall'ambito applicativo del tetto alla retribuzioni pubbliche continui ad operare, in quanto mai abrogato (né espressamente, né tacitamente). È evidente come tale tesi non possa essere condivisa;

è infatti irragionevole fare riferimento al contenuto della legge 244/2007; nel frattempo sono passati 10 anni e il legislatore è intervenuto ancora, in quattro occasioni diverse: con la legge n. 69 del 2009, il d. n. 165 del 2001, il Decreto Ministeriale n. 166 del 2013 e la legge n. 189 del 2016, regolando la medesima materia dei limiti alle retribuzioni erogabili dalle pubbliche amministrazioni o dalle società pubbliche, disciplinandone presupposti applicativi, contenuti, effetti e limitazioni, senza mai prevedere alcuna eccezione circa l’applicabilità del tetto ai compensi delle star;

a fronte di un'eccezione prevista in una legge del 2007 e in difetto del richiamo di quella deroga nei provvedimenti normativi che sono successivamente intervenuti a regolare la fattispecie, appare davvero difficile sostenere che non si sia prodotto un effetto di abrogazione tacita;

ai sensi dell' art. 15 delle preleggi, infatti, le norme possono essere abrogate espressamente ovvero "per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l'intera materia già regolata dalla legge anteriore". Nel caso in esame, si tratta proprio di quest'ultima ipotesi, perché a fronte di quattro ulteriori norme che non richiamano in alcun modo la distinzione per le prestazioni artistiche prevista dalla legge 244 del 2007, quest’ultima è da intendersi tacitamente abrogata, anche perché è evidente come la nuova disciplina regoli l’intera materia già prevista dalla legge anteriore, rendendola dunque implicitamente obsoleta;

il combinato disposto degli articoli 23-bis, 23-ter d.l. n. 201/2011 e 13 d.l. n.66 del 2014 contiene, infatti, una disciplina esauriente, completa ed autonoma del limite ai trattamenti economici erogati dalle PA e dalle società partecipate, che, per quanto qui interessa, stabilisce le condizioni, i contenuti e l'ambito applicativo soggettivo e oggettivo del regime retributivo previsto, senza alcun richiamo alla legge del 2007 e, soprattutto, senza la ripetizione dell' esclusione dal suo perimetro operativo delle prestazioni di carattere artistico;

ne consegue che, per effetto dell'art. 15 delle preleggi, l'eccezione che, ad avviso dell' Avvocatura, è ancora operativa, deve ritenersi, al contrario, tacitamente abrogata dalle disposizioni successive;

 

tra le argomentazioni portate avanti dall’Avvocatura si assume, poi, che, in ogni caso, il personale artistico non può essere ascritto alla categoria dei “collaboratori”, alla quale l' art.49, comma 1-ter, del d.lgs. n.177 del 2005 (introdotto dalla legge n.198 del 2016) espressamente riferisce il predetto limite retributivo;

anche tale assunto non appare convincente. A tal proposito basta osservare che la nozione di collaboratore dev'essere intesa come riferita a tutti soggetti che svolgono una prestazione lavorativa in favore di un'amministrazione o di una società, non sulla base di un contratto di lavoro subordinato, ma sulla base di un titolo negoziale autonomo e non strutturato. La genericità della dizione “collaboratori” impone, infatti, di intendere la relativa categoria secondo la sua più ampia latitudine semantica, non essendovi alcuna plausibile ragione per escludere dal suo significato i contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche (che, peraltro, vengono, spesso, proprio denominati di "collaborazione");

non solo, ma l'ampiezza dell'elencazione, nella disposizioni in esame, delle categorie assoggettate al tetto retributivo ("amministratori, personale dipendente, collaboratori e consulenti"), unitamente all'assenza di qualsivoglia eccezione, indica la palese volontà del Legislatore del 2016 di comprendere nell'ambito applicativo della norma tutte le categorie di soggetti che, a qualsiasi titolo, svolgono prestazioni lavorative retribuite in favore della RAI;

non sembra convincente nemmeno l'ultimo ragionamento portato avanti dall’Avvocatura, l’argomento c.d. sistematico, fondato sul regime concorrenziale nel quale deve operare la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, e che resterebbe fortemente compromesso dall'applicabilità del tetto anche agli artisti. L'esigenza di assicurare agli artisti che lavorano per la RAI compensi idonei a garantire un'effettiva competizione della concessionaria nel mercato radiotelevisivo può, infatti, valere a giustificare norme che consentano l'erogazione di adeguati trattamenti economici, ma non certo a fondare un'interpretazione delle vigenti disposizioni limitative, in contrasto con il loro chiaro tenore letterale;

ne consegue, in definitiva, che il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della RAI, con la duplice conseguenza che una deroga alla predetta limitazione può essere autorizzata solo da una nuova disposizione legislativa e che l'eventuale, indebita erogazione di compensi superiori integrerebbe gli estremi  della responsabilità contabile, che non può, peraltro, ritenersi esclusa dal parere dell' Avvocatura dello Stato, anche per la sua formulazione in termini dubitativi e dichiaratamente incerti; -

 

se non ritiene, sulla base delle argomentazioni esposte in premessa, che sollevano più di un’obiezione rispetto ai ragionamenti dell’Avvocatura dello Stato, di chiarire definitivamente che il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della RAI, e se intende, nell’ambito della propria facoltà di iniziativa legislativa, proporre una deroga specifica alla predetta limitazione, e quindi percorrere l’unica strada in grado di autorizzare tale deroga, evitando così ogni indebita erogazione di compensi superiori, e chiarendo definitivamente ogni dubbio in merito all’interpretazione dell’articolo 9 della legge n. 198/2016.

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