Palazzi & potere

C'è chi dice NO: parla il costituzionalista Alfonso Celotto

Le revisioni costituzionali vanno fatte bene. Altrimenti, aumenta soltanto la confusione e la difficoltà di governare.


 
A mano di due settimane dal referendum molti hanno già un orientamento preciso. Ma tanti sono ancora indecisi, in una campagna che assume toni sempre più “millenaristici”.
 
Molti dicono di orientarsi al “SI” per ragioni politiche. Per dare stabilità al Governo. Oppure per il timore di quello che potrà accadere se il Governo cade. O, ancora, per cambiare dopo 40 anni di tentativi di riforma costituzionale.
 
Ritengo che sia un approccio sbagliato. Secondo me non si può decidere se non valutando i contenuti della riforma. Perché la Costituzione è una cosa seria.
 
Dobbiamo riuscire a chiederci se il sistema proposto dalla riforma funzionerà peggio o meglio. Ovviamente non si tratta nemmeno di valutare una ad una le 50 modifiche proposte. Sarebbe come voler valutare un mosaico fermandosi a esaminare le singole tesserine. Ci serve una valutazione sistematica, per capire quale sarà il disegno.
 
E proprio qui la riforma non funziona. Perché è confusa e piena di contraddizioni.
 
Facciamo qualche esempio, necessariamente tecnico, per stare sui contenuti:
 
Elezione dei senatori: il nuovo art. 57 al comma 2 è chiarissimo. “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori”. Una tipica elezione di secondo grado. Ma tanti sostenitori della riforma, si aggrappano all’inciso “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi” (art. 57, comma 5), per sostenere che ci sarà una elezione popolare diretta. Ma allora, che senato vogliamo? Eletto dal popolo o dai consigli regionali?
 
Riparto dei senatori. L’art. 57 distribuisce i senatori sul territorio nazionale: “Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due; ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due. La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua, …, in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale”. Così avremo 9 Regioni con due senatori e le Regioni grandi più rappresentate (Lombardia 14, Campania 9, Lazio 8). Ma il paradosso sono le Regioni medie, come Abruzzo, Liguria, Marche, Friuli, Umbria: oggi queste Regioni hanno 7 Senatori, contro i 2 del Molise e 1 della Valle d’Aosta. Ma la riforma dimentica che le nostre Regioni piccole sono molto piccole e così le equipara alle medie: per cui la Liguria avrà gli stessi senatori della Valle d’Aosta (che così moltiplica x 7 la sua rappresentanza!).
 
Le province: nel nuovo art. 114 Cost. si aboliscono le province (come sappiamo sulla carta già abrogate nel 2014), ma al tempo stesso nelle norme finali si affida alla competenza concorrente di stato e regioni la disciplina degli “enti di area vasta” (art. 40, comma 4, della riforma), che altro non sono se non province. Una riforma gattopardesca?
 
Competenze regionali. Per semplificare la ripartizione di competenze fra Stato e Regioni si dice che viene eliminata la “competenza concorrente”, cioè quelle materie su cui lo Stato fissa i principi e le Regioni fissano i dettagli; sfogliando il nuovo elenco delle competenze statali, troviamo materie come: “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare; disposizioni generali e comuni sull'istruzione; disposizioni generali e comuni sull'istruzione e formazione professionale; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; disposizioni generali e comuni sul governo del territorio” (art. 117, comma 2, Lett. m n o, p, s, u). 
 
Ma le disposizioni generali e comuni altro che sono se non disposizioni di principio?
 
Potrei continuare ancora, ma penso sia sufficiente.
 
Va però ricordata la contraddizione di fondo, in quanto è una riforma “senz’anima”, con un disegno complessivo contraddittorio:  da una parte sembra che si voglia uno stato centralista (abolizione delle province, riduzione delle competenze delle Regioni), ma dall’altro si crea un Senato tipico di uno stato autonomista. Ma vogliamo uno stato centralista o autonomista?
 
Insomma, le revisioni costituzionali sono sicuramente un importante contributo allo sviluppo dello Stato. Ma vanno fatte bene. Altrimenti, aumenta soltanto la confusione e la difficoltà di governare.


 

Alfonso Celotto
*Prof. Diritto costituzionale Università Roma Tre