Palazzi & potere
Oriana Fallaci: da undici anni un po' più soli
Staffetta partigiana, la giornalista italiana più conosciuta al mondo, reporter di guerra, scrittrice, o scrittore come diceva lei, Oriana Fallaci è stato questo e molto altro e, a undici anni dalla morte, un quadro completo dell'Oriana ancora non c'è e probabilmente non ci sarà mai.
La Fallaci più conosciuta, quella del post 11 settembre, quella che riemerge dal suo isolamento volontario nel villino dell'Upper East Side di Manhattan e rompe un silenzio durato dieci anni per gridare al mondo intero e senza mezze misure la sua rabbia, non è che la punta di una donna complessa e sicuramente non convenzionale.
Chi poi, in qualche modo, distingue tra una Fallaci pre e post attentato alle Torri Gemelle commette un grosso sbaglio, non c'è un prima e un dopo e non si può separare in modo netto la vita di Oriana Fallaci, la passione e la foga che si trova leggendo "La rabbia e l'orgoglio", la versione estesa dell'articolo apparso sul Corriere dopo l'attacco alle Torri, sono le stesse che si ritrovano in "Un uomo" o in "Lettera ad un bambino mai nato", perché, sopra a tutto, a muovere la penna di Oriana Fallaci era la passione per la vita, una passione che non ha certo bisogno delle giustificazioni da quattro soldi di chi salva e apprezza gli scritti precedenti a quel settembre 2001 e stende un velo di silenzio su quelli successivi, come se fossero nati dalla follia di una donna oramai non più lucida, "grulli" griderebbe a questi, e forse anche qualcosa di più.
La vita dell'Oriana non segue i canoni comuni, non è una vita come tante e sembra anch'essa uscita da uno dei suoi libri, inizia con una bambina che segue il padre durante la lotta partigiana nelle brigate di Giustizia e Libertà, quella bambina che diventa poi la ragazzina che vuole fare lo scrittore, non la scrittrice ma lo scrittore, e comincia a scrivere sui quotidiani locali fino a diventare reporter di guerra e poi la donna capace di tenere testa, tra gli altri, a Henry Kissenger, a Yasser Arafat e all'Āyatollāh Khomeynī, una donna che andava controcorrente; da sola.
Ho conosciuto Oriana Fallaci nelle pagine di un libro letto un'estate di un po' di anni fa, "Un uomo", la biografia di Alexandros Panagulis e la storia di un amore che tutti vorremmo meritarci, da quell'estate non l'ho più scordata e l'ho poi cercata, ancora, in scritti e articoli, inni alla libertà, al coraggio, alla vita e alla dignità umana, inni che stonavano e stonano con una realtà accartocciata, appiattita e sorda; una realtà in cui davvero "tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre".
Quello che forse ci avvicina di più alla Fallaci e che, in ogni caso, non ci lascia mai indifferenti davanti a lei è che al netto di una vita straordinaria e forse inarrivabile nelle le sue parole la scopriamo tremendamente umana, come noi, con le nostre stesse paure e con le nostre stesse emozioni, come se desse voce a qualcosa che abbiamo sempre saputo ma che non abbiamo mai capito davvero o che non abbiamo mai trovato il coraggio di dire.
Ecco, Oriana, da 11 anni senza di te siamo un po' più soli.
Giacomo Tamborini