Torino, parla Massimo Giuntoli: ecco cosa serve alla città per crescere
Affaritaliani intervista Massimo Giuntoli, alla guida dell’Ordine degli Architetti
Tra i più importanti interlocutori dell’amministrazione Appendino a Torino, nell’ottica della revisione del piano regolatore, c’è l’Ordine degli Architetti, guidato da Massimo Giuntoli, fautore della piattaforma Architettiamo la città, protagonista di undici incontri con le rappresentanze delle giurisdizioni cittadine, un tour in cui raccogliere le istanze della popolazione su quegli interventi necessari al rilancio della città. Attrarre investimenti per mezzo di sostanziali interventi su mobilità e cura degli spazi urbani: questa la ricetta di Giuntoli per rendere Torino nuovamente appetibile per imprenditori e privati. Non manca una tirata d’orecchie alla giunta pentastellata, il cui lassismo nell’investire in infrastrutture e servizi e la mancanza di coraggio nel portare avanti progetti illuminati e al passo con i grandi centri europei, è a detta di Giuntoli una delle principali cause dell’immobilismo in cui verte la città.
Massimo Giuntoli, cosa serve a Torino per tornare a crescere e a diventare meta ambita per gli investitori?
«Nel corso delle nostre valutazioni come Architettiamo la città, abbiamo individuato alcuni aspetti chiave del discorso, elementi imprescindibili senza cui è possibile ripartire: agilbilità, per città sempre più smart, prive di barriere architettoniche e limitazioni, sostenibilità, perché i centri del futuro siano espressione di un connubio e un equilibrio tra area urbana e ambiente e infine attrattvità, senza cui è impossibile portare capitali e investimenti per ridare slancio all’economia cittadina. Servono interventi urgenti su mobilità e infrastrutture che portino all’attenzione del mondo imprenditoriale i cambiamenti che Torino vuole mettere in pratica»
Cosa pensa della gestione della giunta Appendino sul tema del rilancio del progetto urbanistico di Torino?
«Con il sindaco Appendino abbiamo lavorato molto bene per quel che riguarda il micro cosmo del nostro settore: mi riferisco a tutti quegli interventi “minori”, dal marciapiede rotto alla strada dissestata, su cui c’è effettivamente stato un interesse concreto a risolvere problematiche e rendere decoro a certe aree urbane. Quello che contesto categoricamente è la mancanza di una visione più ampia e a lungo termine di quegli interventi necessari perché Torino faccia il salto di qualità. Siamo ancora fermi ai piani strategici del 2014 e senza un po’ di coraggio e spirito di iniziativa gli investitori non torneranno»
Esiste un modello vincente e replicabile che possa stimolare l’amministrazione ad agire?
«Secondo me oggigiorno l’unica possibilità risiede in un partenariato tra pubblico e privato. Una visione statalista in tutto e per tutto è un concetto non solo superato ma anche poco efficiente. Sempre più spesso vediamo come per determinati interventi occorrano capitali ingenti e il pubblico in questo momento storico è in grande difficoltà. Il vero nodo sta nel trovare il modo di attrarre gli investitori. E qui entra in gioco l’amministrazione: il pubblico deve essere il motore per il privato e non viceversa. Se si costruiscono strade, metropolitane e servizi in aree non servite, va da sé che ciò attrarrà l’interesse di qualche investitore privato. Confidare nel contrario non porta a nulla»
Quali risposte avete avuto dagli incontri con la cittadinanza?
«Certamente anche tra i cittadini si percepisce la necessità di ridare slancio a Torino. Anche qui abbiamo estrapolato dei concetti chiave, parole che più spesso di altre sono state ripetute, sintomo che la questione è sentita. Degrado e cura del territorio sono due dei concetti più rimarcati e la percezione della cittadinanza sull’incuria di alcune aree è un tema su cui porre molta attenzione. Anche la parola centralità è stata motivo di dibattito. Oggigiorno nelle città che hanno una visione futura, il concetto di periferia è stato sorpassato ed è normale aspettarsi gli stessi servizi e le stesse possibilità del centro città anche nelle aree limitrofe. Si è poi parlato molto di mobilità e viabilità. Una città come Torino che vuole rilanciarsi ha immediato bisogno delle nuove linee di metro, così come di investimenti nel car sharing e nel bike sharing»
Come Architettiamo la città siete scesi in piazza per la manifestazione sì Tav: l’opera rientra in quella serie di investimenti che avrebbero ricadute positive sulla città?
«Assolutamente sì. Trovo assurdo solamente il fatto che se ne discuta. Come si può pensare di attrarre gli investitori in Italia rifiutando di far parte del corridoio 5 (da Lisbona a Kiev, ndr), a tutti gli effetti la porta verso il Nord Ovest, non della sola Europa ma del mondo. E la mia non è certo una valutazione politica: sono stato a visitare sia il cantiere del versante italiano che quello francese, ho avuto accesso alle carte e non solo non c’è alcun rischio ambientale, ma con gli interventi necessari alla realizzazione dell’alta velocità anticiperemmo gli obblighi previsti dall’Europa per il 2020 per la messa in sicurezza delle ferrovie al di sopra dei 1000 metri. Anziché ristrutturare la linea già esistente se ne costruirebbe una nuova e perfettamente funzionale e i costi sono gli stessi, con la differenza che nel progetto Tav metà delle spese sono in capo all’Europa. Senza contare l’enorme risparmio energetico che si avrebbe con la nuova tratta in galleria che evita la necessità di salire in quota con tonnellate di merci. Per ultimo, ma dato non certo trascurabile, l’incredibile indotto di diecimila posti di lavoro da sommarsi a tutte le ricadute, dirette e indirette, una volta che la Tav sarà costruita. Qui non si parla di un ritorno importante per Torino, ma di un progetto di rilancio assoluto per tutto il Paese.»
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