Politica
Patto di Stabilità, l'Italia accetta il compromesso. Ecco perché. Anteprima
Patto di Stabilità, regole rigide ma tempi dilatati. E anche la Germania ha i suoi scheletri nell'armadio
Sul Mes per ora nessun via libera dell'Italia, ma qualcosa potrebbe cambiare (non subito)
Le notizie sono ancora frammentarie. Dopo l'annuncio di ieri di Francia e Germania sull'accordo al 100% sulla riforma del Patto di Stabilità e la frenata di Palazzo Chigi in tarda serata fonti ai massimi livelli di Fratelli d'Italia spiegano ad Affaritaliani.it che "ci siamo quasi, si devono solo sistemare alcune limature". La svolta, che eviterebbe così il veto del governo italiano sulle nuove regole Ue, è legata ai tempi delle norme, comunque rigide e stringenti, che Berlino, quindi il Cancelliere Olaf Scholz (e in particolare i liberali dell'Fdp che fanno parte dell'esecutivo tedesco e sono da sempre fautori dell'austerità) e i suoi 'Paesi satellite' del Centro-Nord Europa hanno a tutti i costi voluto mantenere.
Il punto chiave di quello che appare a tutti gli effetti un compromesso per prendere tempo, aspettando la nuova Commissione europea e i nuovi equilibri politici che scaturiranno con il voto della tarda primavera del 2024, è lo slittamento al 2027 dell'avvio del rientro dell'1% annuo della parte eccedente il 60% del rapporto debito-Pil. E' questo il punto che avrebbe convinto (condizionale ancora d'obbligo) Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti a dare l'ok. Il rientro dell'1% annuo, anche se dipende dall'andamento della congiuntura economica, è comunque pari a circa 10-15 miliardi di euro. Di fatto una mazzata che impedirebbe qualunque intervento all'esecutivo sul fronte della riduzione delle tasse o degli investimenti in sanità e scuola (per citare due esempi di stretta attualità). Senza un'intesa e senza una proroga dello stop al vecchio Patto sospeso per il Covid, dal primo gennaio entrerebbero in vigore le vecchie regole. E quindi serve comunque un compromesso.
E politicamente, con le elezioni europee tra meno di di sei mesi, la scelta migliore appare quella di un punto di equilibrio che cerchi di accontentare tutti. Regole rigide come vuole la Germania ma con tempi dilatati come chiedono i Paesi del Sud Europa. Sul fronte del famigerato deficit-Pil al 3% ci sarà comunque anche in questo caso uno slittamento e non sarà immediatamente operativo dal 2024, anche perché non va mai dimenticato che la Francia lo ha sforato ben undici volte senza che nessuno aprisse una sorta di processo come è stato fatto all'Italia o alla Grecia.
Poi c'è il caso della Germania. A fine novembre la Corte costituzionale tedesca ha emesso una sentenza su alcuni movimenti del bilancio federale del 2021, che sono stati dichiarati incostituzionali. In quell’anno il governo stanziò 60 miliardi di euro presi a debito per affrontare le spese emergenziali legate alla pandemia da coronavirus: quei 60 miliardi, essendo fondi emergenziali, non erano conteggiati nel debito pubblico dello stato, sulla base della legge tedesca. Dopo averli stanziati, però, il governo non li ha spesi, e a quel punto decise di destinarli al finanziamento di un fondo per la transizione energetica, continuando però a non conteggiarli nel debito pubblico. La Corte costituzionale ha deciso che questa manovra è incostituzionale e vìola una legge tedesca sulla limitazione del debito: i 60 miliardi di euro dovranno rientrare nel debito, che in questo modo salirà.
Non solo. Sulla stampa tedesca si parla di operazioni simili di mancato computo di spese nel debito pubblico che risalirebbero addirittura all'epoca della costosissima riunificazione tra Germania Ovest ed Est, nel 1990, che di fatto fu un'annessione della DDR da parte della Repubblica Federale con costi elevatissimi sui quali non c'è mai stata totale chiarezza, presi tutti dall'entusiasmo della caduta del Muro di Berlino e della fine della Guerra Fredda. Insomma, per usare le parole di un deputato di FdI, "la Germania è ora che abbassi un po' la cresta visto quello che sta emergendo".
Detto ciò, l'Italia dovrebbe ottenere anche il non inserimento nel deficit degli investimenti per la transizione ecologica e per gli interventi a favore del territorio dopo i disastri del maltempo degli ultimi anni. Un punto sul quale Giorgetti si è battuto moltissimo. Alla fine però appare un compromesso che di fatto fa tornare il vecchio Patto pre-Covid, ma con tempi dilatati. Poi i nuovi equilibri politici e la nuova Commissione europea potranno studiare e lavorare ad accorgimenti, modifiche e variazioni. Ma intanto andava trovato un punto di caduta. Infine il Mes. Dalla maggioranza assicurano che non c'è alcuna fretta di ratificarlo. Ovviamente ora per l'Italia sarà più difficile continuare a dire no, ma certamente l'ok, se dovesse arrivare, non sarà comunque in tempi brevissimi. A Meloni d'altronde serve anche come arma per il fronte migranti e per la campagna elettorale.