Politica

Pd, la tagliola della scissione. Quando Renzi staccherà la spina

Gianni Pardo

Ciò che ha reso stabile la politica italiana, dalla fine della guerra all’inizio degli Anni Novanta, è stata l’inamovibile centralità della Democrazia Cristiana. Ma la Balena Bianca non governava da sola. E non è che tutti i suoi alleati l’amassero di vero amore, qualcosa che del resto non esiste in politica. Ciò che univa Dc, Pri, Pli, Psli, Psi e gli altri era un incrollabile principio profondamente condiviso: sbarrare la strada ai comunisti e rimanere uomini liberi. Viceversa, ciò che rendeva deboli e inaffidabili le Compagnie di Ventura nel Cinquecento era che quegli eserciti privati, prima che a un’idea, obbedivano al denaro. E poiché l’interesse economico era la loro bussola, bastava che qualcuno offrisse di più, o semplicemente non potesse pagare il pattuito, e quelle compagnie cambiavano bandiera.

L’interesse è un pessimo legame. Mentre l’ideale rimane valido anche quando non offre dividendi, l’interesse è mutevole e non costituisce un ostacolo al cambiamento di alleanze. Forse non è un caso che la Dc sia durata fino all’implosione dell’Unione Sovietica. Se fosse stata veramente “Cristiana”, forse sarebbe durata anche dopo, come è durato il Cristianesimo; invece era soltanto anti-sovietica, ed è caduta insieme al suo nemico. Questo genere di considerazioni possono servire nel momento in cui ci si interroga sul futuro dell’attuale governo.

Non per arrivare a previsioni sicure – che non esistono – ma per azzardare linee di tendenza. E poiché in questo futuro ha una grande parte il Partito Democratico, è di esso che conviene occuparsi. Infatti il M5s non soltanto non ha idee, ma si vanta di non averne. Inoltre – nelle intenzioni di voto – si vede condannato ad un drammatico ridimensionamento, e dunque non ha come Stella Polare l’interesse, ma in cielo vede soltanto quella stella. Naturalmente, per quanto riguarda il Partito Democratico ci sono degli specialisti che a studiarlo hanno dedicato una vita.

Tuttavia alcune considerazioni sono lecite anche all’osservatore qualunque. L’attuale coalizione di governo non si è formata in nome di idee comuni, I due partiti che la compongono fino a ieri si sono combattuti con tutte le armi leali e sleali, senza neppure rifuggire dal disprezzo e dalla calunnia (“Il partito di Bibbiano”). Ciò che li tiene insieme è l’interesse e questo, come si è detto, può svanire da un momento all’altro. Come se non bastasse, anche il Pd, tradizionalmente litigioso e scissionista, è tutt’altro che solido. E al riguardo è bene tornare indietro di un paio d’anni.

Nel 2016 Matteo Renzi ha ricevuto una formidabile batosta che lo ha azzoppato, ma non tanto da non lasciargli la forza di compilare le liste dei candidati del Pd alle elezioni del 2018. In questa occasione, spregiudicatamente (non per niente è fiorentino), egli ha messo in lista soltanto suoi fedelissimi. Tanto che, ancora oggi la maggioranza del Pd ha come segretario Nicola Zingaretti, ma la sua rappresentanza parlamentare è nelle mani della minoranza renziana. Renzi è dunque il capo dei parlamentari piddini.

Questo fatto spiega la politica del Pd, dal marzo 2018. Sul momento Renzi ha potuto escludere l’alleanza col Movimento sia perché lo disprezzava politicamente, sia perché pensava che l’abbraccio con Grillo potesse essere la tomba del Pd. Infine reputava i pentastellati totalmente incapaci di governare, sicché non sarebbero durati. Non prevedeva – non la prevedeva nessuno – l’alleanza con la Lega. Che invece si è avuta. Poi Matteo Salvini ha fatto cadere il governo e i renziani si sono detti che, se si fosse andati a nuove elezioni, l’attuale segretario forse non avrebbe ricandidato nessuno di loro.

Tanto che l’alternativa era tra “baciare il rospo”, cioè sostenere un’alleanza col Movimento 5 Stelle, o andare a casa. Definitivamente. E per questo, quando ancora il governo precedente era in carica, in Parlamento Renzi ha dichiarato la disponibilità propria e dei suoi amici a sostenere qualunque governo che impedisse il ritorno alle urne.

Così si è progettata la nuova coalizione. Il Pd, sempre in rotta con i renziani, sapendo che costoro erano obbligati a votare la fiducia al governo (perché costretti dal loro interesse) li ha usati senza dar loro niente in cambio. Né un ministro, né un vice ministro, né un sottosegretario. Costoro sostenevano il governo per non andare a casa? E allora soltanto questo avrebbero ottenuto. Ma in questa guerra senza esclusione di colpi, il Pd, e il suo segretario Zingaretti, forse non hanno calcolato tutte le mosse. Infatti si parla di una possibile scissione dei renziani.

Una scissione che viene smentita, ipotizzata, dichiarata probabile, assolutamente esclusa o ritenuta inevitabile, ma di cui si parla troppo per non prenderla sul serio. Riprendiamo il filo del discorso, sempre sulla linea dell’interesse. I renziani sono assolutamente necessari alla sopravvivenza del governo. Se essi ritirassero la fiducia a Giuseppe Conte, il governo cadrebbe domattina. È vero che con questo essi dovrebbero poi andare a casa, ma la minaccia rimane credibile.

E se domani essi attuassero la scissione, potrebbero dire al Movimento: “Noi non siamo più del Pd. Noi siamo il PdR, il Partito di Renzi, vi sosteniamo, ma vogliamo posti di governo. Vogliamo un corposo rimpasto, nel quale noi contiamo quanto contava l’intero Pd. Diversamente vi metteremo i bastoni fra le ruote e, in prospettiva, faremo cadere il governo”. Ed effettivamente essi detengono le chiavi della maggioranza. È possibile che attendano la fine dell’anno in modo che, se c’è da scottarsi le dita, se le scottino il Pd e il Movimento per poi riscuotere la cambiale. Una cosa è sicura: questo governo è forse il più cinico che abbiamo avuto dall’unità d’Italia. E i governi cinici non durano molto.

PS: Mi sono sbagliato. Pare che, dopo le prime difficoltà, Renzi sia riuscito a portare a casa due ministri e tre sottosegretari. Ma, a quanto pare, la voglia di vendetta non gli è sbollita.