Politica
Pd, rumor choc alla vigilia del voto. Bonaccini perde male? Zingaretti lascia
L'Emilia Romagna è il simbolo della sinistra italiana e del Pd
Ci siamo. Domenica (finalmente) si vota. Inutile dirlo, gli occhi sono tutti puntati sull'Emilia Romagna anche perché in Calabria, salvo colpi di scena, sembra proprio che la partita sia estremamente difficile per il Centrosinistra. Non a caso Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi hanno scelto Ravenna per la chiusura unitaria della campagna elettorale. Nicola Zingaretti qualche giorno fa si è mostrato tranquillo affermano di essere "certo" che vincerà Stefano Bonaccini. D'altronde l'Emilia Romagna è il simbolo della sinistra italiana e del Pd. Un modello di buon governo con un Governatore popolare e stimato da molti cittadini. Un flop nella Regione di Don Camillo e Peppone sarebbe come una debacle per i Democratici americani a New York o in California. Impensabile.
Il premier Giuseppe Conte ha ribadito anche oggi che non ci saranno conseguenze sul governo dal voto di domenica, ma al Nazareno attendono con ansia i risultati dello scrutinio. Le parole del capogruppo alla Camera Graziano Delrio di lunedì 20 gennaio, che rispecchiano anche la posizione del vice-segretario Andrea Orlando, sono inequivocabili e lasciano aperti molti interrogativi sul dopo elezioni: "Se si perde ci saranno problemi. Ci sarebbero ovviamente tantissime ripercussioni su tutti i fronti. Non cadrà il governo ma non potremmo di certo far finta di nulla". Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it, in caso di sconfitta 'pesante' di Bonaccini (che significa una vittoria non risicata di Lucia Borgonzoni, quindi di almeno 4-5 punti) lunedì mattina arriverebbe l'offerta di dimissioni del segretario Zingaretti. E, forse, non potrebbe essere altrimenti. Troppo simbolica l'Emilia Romagna per, utilizzando le parole di Delrio, far finta di niente.
A quel punto il Pd correrebbe verso il congresso, già annunciato, in primavera (prima delle altre Regionali e del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari) dove verrà scelto attraverso le primarie anche il nuovo segretario. E lì non è affatto escluso che il presidente della Regione Lazio decida di ricandidarsi per avviare una nuova fase, considerando le dimissioni in caso di sconfitta di Bonaccini un gesto obbligato e necessario ma non definitivo. Bisognerà vedere se il ghota del Pd - ovvero la corrente di Dario Franceschini, quella degli ex renziani come Luca Lotti e Lorenzo Guerini, quella di Orlando e Delrio (che fa gioco a sé) - decideranno di sostenere nuovamente Zingaretti o di cambiare cavallo. Difficile che il competitor di Zingaretti possa essere il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, la cui ipotesi di candidatura non ha scaldato più di tanto il partito.
Per quanto riguarda il governo tutti escludono conseguenze dal voto di domenica, comunque vada a finire. E' ovvio che se Bonaccini perde, e magari male, il Centrodestra griderà ad alta voce 'dimissioni' ed 'elezioni'. Nel Pd, per ora, sembra che la linea sia quella assunta da Conte e cioè non cambia nulla. Fatto sta che potrebbe alzarsi qualche voce critica nei confronti della decisione di governare con i 5 Stelle. E se a questo aggiungiamo il possibile tracollo del M5S in Emilia Romagna e in Calabria qualche turbolenza per l'esecutivo potrebbe anche esserci. Senza considerare le bordate che potrebbero arrivare da Italia Viva. Il tutto con i nodi, primo fra tutti quello della prescrizione, lì ancora da sciogliere.