Politica
Prescrizione: solito 'refrain' del M5S. Di Maio tira la corda, non la spezza
Non appena Zingaretti evoca crisi e urne arriva il dietrofront
Tanto tuonò che non piovve. Il solito refrain: Luigi Di Maio, spalleggiato da Alessandro Di Battista, tira la corda alzando la tensione nella maggioranza, ma non appena la corda sta per spezzarsi fa una parziale marcia indietro e torna un minimo di sereno nel governo. Facciamo un po' di ordine. Mercoledì 4 dicembre il ministro degli Esteri se ne esce con una delle sue frasi perentorie e categoriche: "La riforma della prescrizione il primo gennaio è legge".
Passano pochi minuti e su Facebook arriva il sostegno di Dibba: "Ha ragione Luigi, la norma che blocca la prescrizione entrerà in vigore il 1 gennaio". Apriti cielo. Pd furioso, dichiarazioni belligeranti, ipotesi di crisi e di ritorno alle urne in primavera. Fino alle parole di Nicola Zingaretti di giovedì mattina che in una lettera a Repubblica afferma: "Stop alle polemiche insensate o il governo non ha senso". Appunto, la corda sta per spezzarsi e l'esecutivo è sul bordo del burrone.
A quel punto arriva, intorno alle 15:30, la nota di Di Maio che sotterra l'ascia di guerra: "Non vedo motivo di alimentare tensioni inutili all’interno del governo e non comprendo i toni duri usati negli ultimi giorni da parte di qualcuno. Sulla prescrizione ogni buona proposta che punti a far pagare chi deve pagare e vada dunque nella direzione auspicata dal M5S è ben accetta. Siamo al governo per fare le cose e le cose si fanno insieme, non minacciando proposte individuali con l’unico fine di alimentare spaccature interne che, a mio modesto avviso, fanno solo male al Paese”.
Il capo politico dei 5 Stelle risponde alle fonti dem che da ore parlano di un possibile compromesso sulla prescrizione con l'ipotesi di una sospensione di due anni assicurando che il dialogo si è riaperto. Non a caso il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha anche lui indossato i panni del pompiere: "Non voglio rompere con nessuno o provocare una crisi di governo. Sono convinto che in questa maggioranza ci siano praterie per lavorare insieme sulla giustizia, se ci troviamo d'accordo sul l'obiettivo che dopo la sentenza di primo grado ci sia una risposta di giustizia".
Che cosa è successo? Perché questa retromarcia per certi versi clamorosa? Fonti parlamentari del Pd hanno una spiegazione estremamente semplice: Di Maio da un lato deve fare il duro, per controllare una parte dei suoi che non hanno ancora digerito l'alleanza con il Centrosinistra, ma dall'altra parte non può assolutamente andare a votare e quindi non appena da Zingaretti o comunque dal Nazareno arriva la minaccia di urne fa un passo indietro. Il tam tam di Palazzo, ad esempio, racconta come il ministro per i rapporti con il Parlamento e le Riforme Federico D'Incà, pentastellato, si prodighi quotidianamente per spegnere i vari incendi nella maggioranza e per rassicurare i peones grillini spaventati dall'ipotesi elezioni che comunque un accordo con Pd e Italia Viva si troverà e che la crisi non è dietro l'angolo.
Prima di tutto i sondaggi sconsigliano fortemente ai 5 Stelle di correre al voto (i più benevoli parlano di un 16%) e soprattutto - spiegano sempre fonti dem - l'impressione che è nell'ultimo colloquio di qualche giorno fa a Roma Beppe Grillo abbia chiaramente fatto capire a Di Maio che la regola dei due mandati c'è e non si tocca. In altre parole, se si tornasse alle urne il ministro degli Esteri sarebbe fuori. E anche l'ipotesi di un ritorno di Di Battista non è affatto semplice visto che i pentastellati sono ora divisi tra fedelissimi di Di Maio, parlamentari vicino a Roberto Fico, nostalgici della Lega, ortodossi che vorrebbero tornare alle origini del Movimento e filo Pd.
Siamo dunque di fronte a una sorta di strategia non si quanto studiata a tavolino. L'asse Di Maio-Di Battista fa prima la voce grossa, mostrando alla base e una parte dei parlamentari di non cedere a compromessi, quando dal Nazareno si evocano le parole crisi ed elezioni anticipate si arriva a più miti consigli. E, sempre nel Pd, c'è chi scommette che - Paragone e pochi altri a parte - lo stesso copione lo vedremo anche sul Mes. Tema sul quale intanto è stato ottenuto un rinvio e quindi almeno per il momento il refrain visto sulla prescrizione può attendere qualche settimana.