Politica
Primarie Pd: il rinvio è certo, ma la data ancora no. Retroscena
Impossibile non ascoltare le richieste dei territori, ma dalla Lombardia si propone uno spostamento di due settimane
Il Pd milanese chiede di slittare "almeno" fino al 5 marzo
Le primarie del Pd verranno rinviate, come anticipato da affaritaliani.it, ma sulla data definitiva non c'è ancora l'ultima parola. Un piccolo riassunto delle puntate precedenti può essere utile per i lettori (ed elettori) confusi.
Inizialmente si sarebbero dovute svolgere il 12 marzo, ovvero a quasi sei mesi dal tracollo elettorale del 25 settembre, un tempo di lunghezza siderale, che ha spinto molti – compreso il nostro giornale – a richiedere un anticipo. L'accorciamento dei tempi c'è stato, ma non enorme, con la fissazione del voto al 19 febbraio. La nuova data, però, si incrocia con le elezioni nel Lazio e in Lombardia, le due principali regioni italiane, in calendario solo una settimana prima: un bel problema per candidati e militanti, costretti a scegliere tra una campagna e l'altra.
Da qui la richiesta di uno slittamento al 26 febbraio che, come abbiamo raccontato, è partita dalla Lombardia, visto che nel Lazio prevale il pessimismo, dopo il rifiuto di Bianchi (M5S) di ritrarsi per convergere su D'Amato (Pd). La questione è passata al tavolo dei rappresentanti dei quattro candidati alla successione di Letta. Se Cuperlo e De Micheli si sono detti subito favorevoli al rinvio, Bonaccini e Schlein hanno inizialmente storto il naso. In un'area si intravede la vittoria e non si vuole lasciare spazio alla rimonta di Schlein, l'altra (secondo rumors) avrebbe visto favorevolmente il voto subito dopo due regionali molto difficili, perché un'eventuale sconfitta avrebbe alimentato la voglia di cambiamento tra i militanti.
Letta non ha preso posizione. Per lui la data del 19 febbraio era ormai certificata, ma di fronte alle richieste dei territori ha alzato le mani e rimandato la decisione alla direzione nazionale (già convocata per mercoledì 11), la quale poi passerà la palla all'assemblea nazionale, deputata a decidere. Un atteggiamento in linea con la sua posizione di segretario dimissionario, che non vuole interferire nel processo di scelta del suo successore. E chissà che non si spieghi così anche l'appoggio del suo braccio destro Marco Meloni a Bonaccini, quando si sa che il rientro di Schlein nel Pd è stato fortemente incoraggiato dallo stesso segretario in carica.
Alla fine di queste complesse discussioni, comunque i quattro aspiranti segretari del Pd (senza contare chi sta ancora raccogliendo le firme per aggiungersi alla competizione) hanno convenuto sull'ipotesi di rinvio al 26. Una settimana in più, in fondo, non è nulla di sconvolgente, soprattutto guardando i sondaggi che vedono Majorino staccato di poco da Fontana, presidente in carica in Lombardia. Non ascoltare le istanze del territorio sarebbe un peccato mortale per chiunque volesse guidare il partito nel prossimo futuro e in particolare sarebbe ingiusto uno sgarbo a Milano, che fin dal 2011, con la vittoria di Pisapia, rappresenta una best-practice di successo e buongoverno a trazione Dem. Ma attenzione, nelle scorse ore la segreteria metropolitana milanese ha votato – all'unanimità – la richiesta di spostare il congresso nazionale di almeno due settimane, ovvero al 5 marzo. La voglia di accontentare i lombardi c'è, ma, se li si prendono alla lettera, la data deve cambiare ancora.