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Privacy: dati, la Corte Suprema Usa decide anche per l’Europa

In gioco, privacy e protezione dei dati: è prevista per l’ottobre 2017 la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti se accogliere o respingere il ricorso del governo statunitense sul caso “New York Warrant Case”, conosciuto anche come “caso Irlanda”, che lo oppone a Microsoft sulla validità di un mandato, emesso nell’ambito di un’indagine giudiziaria, richiedente dati in un contesto internazionale.

Questa vicenda giudiziaria parte da una richiesta avanzata nel 2013 dal Dipartimento di Giustizia Usa per ottenere dati depositati in un centro di stoccaggio situato in Irlanda e dal successivo rifiuto dell’azienda di fornire al governo statunitense dati che non siano detenuti sul territorio nazionale. Fino ad oggi le varie istanze di giustizia statunitense si sono pronunciate a favore di Microsoft, tutelando la nazionalità dei dati, da ultimo con la sentenza emanata lo scorso gennaio da una Corte d’Appello federale.

Argomento tecnico, ma questioni fondamentali
Quello della trasmissione di dati nell’ambito di procedimenti penali dai profili internazionali è un argomento piuttosto tecnico, ma apre una serie di questioni fondamentali. La privacy e la protezione dei dati rivestono un ruolo sempre più centrale nel dibattito pubblico, anche per la crescita dell’uso delle tecnologie dell’informazione da parte degli individui ben illustrata dalla diffusione degli smartphone.

Gli Stati Uniti sono i principali esportatori di tecnologie dell’informazione, con i colossi industriali del settore basati sulla Costa Ovest che operano sull’insieme del pianeta, concepito in qualche modo come un mercato unico se non integrato da un punto di vista tecnologico. L’immediatezza universale della tecnologia si scontra con i regimi di protezione degli individui che tuttora poggiano in larga misura su sistemi nazionali.

Iter legislativi nell’Ue e negli Usa
Nell’Ue, la Commissione europea, su mandato del Consiglio dell’Unione, ha lanciato uno sforzo di approfondimento della tematica della trasmissione di prove digitali nell’ambito di procedure giudiziarie trans-nazionali, seguendo la comunicazione sull’Agenda europea della sicurezza del 2015, oggetto anche di uno studio dello IAI.

Un “non paper” è stato presentato nel giugno 2017 per definire ulteriori passi da compiere. La materia europea è tutt’altro che statica, anche dopo l’adozione nel 2014 della direttiva sull’ordine europeo di indagine penale (Oei). A giugno scorso, dopo il Consiglio Ue sulla giustizia, il commissario europeo Vera Jourová ha annunciato di volere presentare all’inizio del 2018 una proposta legislativa per migliorare ulteriormente il regime della trasmissione delle prove digitali.

L’iter di riforma legislativa della materia è in corso anche da parte statunitense. Nel Congresso di Washington, si sta discutendo del progetto di legge Icpa (International Communication Privacy Act), volto a creare un regime legislativo appropriato e bilanciato che migliori gli scambi di dati internazionali.  Una tutela che sarebbe auspicabile per gli individui, per l’industria (providers) e anche per gli Stati, in modo tale da facilitare la cooperazione giudiziaria in materia digitale che passa tuttora tramite meccanismi bilaterali spesso superati (Mlat).

Convergenza e reciprocità: condizioni auspicabili
L’evoluzione della politica americana rappresenta una posta in gioco importante in materia. Una convergenza dei regimi è auspicabile se non necessaria, per assicurare non soltanto una protezione adeguata, ma anche la reciprocità, che appare come una condizione fondamentale per l’apertura dei mercati da entrambe le sponde dell’Atlantico.

Quando è iniziata la procedura contro Microsoft per il “caso Irlanda”, pochi in Europa si erano dedicati a queste problematiche. Negli ultimi anni, però, le questioni relative alla privacy e all’intrusione nei dati personali hanno acquisito un importante rilievo, come hanno dimostrato il ‘caso Snowden’ e Wikileaks.

Se negli Usa trionfasse una linea rigida e nazionalista che non assicura la protezione dei dati detenuti in Irlanda, lo stesso varrebbe per qualunque altro Paese al mondo in cui risiedono i dati in centri dedicati. La questione verrebbe poi riversata nell’Unione europea e molto probabilmente susciterebbe reazioni opposte di chiusura, con un Parlamento europeo molto sensibile in materia di rapporti transatlantici.

La Corte Suprema in questa fase non è un organo chiuso, ma può accogliere anche memorandum da parte di Stati che vogliano esprimere considerazioni sul caso in corso. Si tratta di una procedura che può apparire originale per l’ordinamento giuridico europeo, ma che offre anche possibilità di influenzare in modo costruttivo la decisione dell’organo statunitense, per l’insieme dei Paesi europei e quindi anche per l’Italia.

Il contesto erratico della presidenza Trump lascia planare parecchi dubbi sulla linea strategica dell’Amministrazione Usa. Il problema dell’accesso e della trasmissione di dati digitali per indagini internazionali rappresenta un punto tecnico ma che si pone al crocevia di una serie di questioni politiche fondamentali. Si tratta anche di un’opportunità politica per dialogare con lo Stato americano, ovvero sia con quell’insieme di strutture politiche e tecnocratiche che hanno sempre rappresentato il fulcro della cooperazione transatlantica. Vale quindi la pena soffermarsi sui tecnicismi e trattarli con la dovuta considerazione politica.

Jean Pierre Darnis, Istituto Affari Internazionali