Politica

Riforme, Renzi vuole andare sotto per poi pretendere le elezioni


Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)


La mediazione all'interno del Pd sulle riforme istituzionali è finita su un binario morto. E non poteva essere altrimenti. La minoranza continua a ripetere che va cambiato l'articolo 2 del ddl Boschi introducendo l'elezione diretta dei nuovi senatori (più altre modifiche) mentre i renziani ripetono all'unisono che "non si può tornare indietro". E a far salire la temperatura non è stato un "estremista" come Corradino Mineo, ma addirittura Pierluigi Bersani. E se a muoversi è l'ex segretario, insieme a Roberto Speranza, vuol dire che la pattuglia dei 28+2 "dissidenti" dem a Palazzo Madama sarà pressoché compatta.

E visti i numeri sulle pregiudiziali di costituzionalità (171 con la maggioranza) le cose per il governo non si mettono bene. C'è poi il dissenso dei senatori Ncd-Area Popolare vicini a Gaetano Quagliariello (10-12) che potrebbero anche votare qualche emendamento delle opposizioni o della minoranza Pd, soprattutto dopo la chiusura totale di Renzi a possibili cambiamenti dell'Italicum. E con la legge elettorale che dà il premio alla prima lista è scontato l'ingresso di Angelino Alfano nei Democratici (con lui un gruppo di 15 tra gli attuali senatori e deputati centristi) alle prossime elezioni, eventualità che ha scatenato l'ira dei parlamentari Ncd-Udc rimasti verosimilmente fuori dal patto.

In soccorso di Renzi potrebbero arrivare 4 o 5 senatori di Forza Italia orfani del Patto del Nazareno e vicini a Dennis Verdini, anche se non (ancora) nel nuovo gruppo Ala. Ma, se davvero tutta la sinistra Pd votasse per il Senato elettivo più una fetta di Area Popolare, l'"aiutino" azzurro potrebbe anche non essere sufficiente, considerando poi la retromarcia di Flavio Tosi (che ha tre senatrici ex Lega) rispetto al sostegno totale al ddl Boschi. Una situazione complessa che cambia di ora in ora. Fatto sta che i fedelissimi del premier, Luca Lotti in testa, vanno ormai in giro con la calcolatrice in tasca - dicono - per capire come finirà la sfida al Senato. Ma Renzi ha già pronto un piano B e, anzi, forse spera che alla fine si arrivi proprio a quello.

Il segretario dem formalmente apre alla sinistra interna, ma poi non cambia una virgola del provvedimento, o quasi. Così che se la maggioranza andasse sotto in Aula il premier avrebbe buon gioco ad accussare davanti all'opinione pubblica i "nemici del cambiamento e delle riforme", ovvero la vecchia guardia democratica di Bersani, D'Alema e Cuperlo (oltre alle opposiozioni, M5S e Lega in testa). A quel punto scatterebbe il piano B di Renzi: dimissioni irrevocabili al Quirinale e richiesta al Capo dello Stato, da segretario del partito di maggioranza relativa in Parlamento, di elezioni politiche anticipate al più presto possibile (ipotesi febbraio 2016).

E visto che Alfano ha già detto "o questo esecutivo o il voto" non ci sarebbero i numeri per un altro governo e quindi l'unica strada percorribile sarebbe quella dello scioglimento delle Camere. Ma prima, molto probabilmente, il Presidente Sergio Mattarella cercherebbe di esercitare pressioni sulle forze politiche per far approvare una legge elettorale uniforme per Montecitorio e Palazza Madama, sul modello dell'Italicum ovviamente. Il tutto per evitare di andare alle urne con due norme elettorali differenti.