Se renzismo fa rima con fascismo: quelle ombre da dissipare
Ai media e ai cittadini, interessa conoscere la verità non su un delitto, ma su un groviglio di legami, inquietanti, tra politica e affari
"Se il Renzismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le malefatte del "Giglio nero" sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale, l’ho creato io, con una propaganda, che va dall’invito a stare sereno, rivolto a Enrico Letta, a oggi". Questo discorso non lo ha pronunciato Matteo Renzi, dopo il coinvolgimento di suo padre, don Tiziano, del ministro renziano, Luca Lotti, e di manager e portaborse, vicini all'ex premier, nell'inchiestona sulla corruzione e sul presunto traffico di influenze illecite, legate agli appaltoni, gestiti dalla Consip. Sostituendo "Renzismo" con "fascismo", il discorso fu pronunciato da Benito Mussolini, il 3 gennaio del 1925.
Nelle settimane precedenti, c'era stata una violentissima campagna di stampa, capeggiata dal "Corriere della Sera" di Milano, diretto dal sen. Albertini, e dal "Mondo" di Roma, organo dell’on. Amendola. I giornali d’opposizione, anche allora, cercarono un colpo di scena, sensazionale, pubblicando uno "scoop": il memoriale, scritto da un ex-fascista, Cesare Rossi, collaboratore di Mussolini, incarcerato per il delitto del deputato socialista, Giacomo Matteotti, il 10 giugno del 1924. Rossi cercava anche un alibi alle proprie colpe, sollevando una presunta "questione morale" contro il Capo del Governo.
Mussolini cercò di fronteggiare l'impasse, con uno dei suoi discorsi più efficaci, che gli consentì di risolvere la posizione difficile, in cui si era venuto a trovare il Partito nazionale fascista, nel Parlamento e nel Paese. Lungi dal dimettersi, come sperava l'opposizione, divisa, anche allora, il leader romagnolo vibrò il colpo finale, con il discorso alla Camera, in cui si assunse, in pieno, la responsabilità, morale, del delitto Matteotti e delle violenze fasciste. E ne annunciò di nuove, fino ad arrivare alla dittatura fascista aperta. Quella data segnò, quindi, il passaggio definitivo e completo dal vecchio Stato parlamentare liberale, formatosi con l'unità d'Italia, al regime fascista, che durerà, ininterrottamente, per i successivi 20 anni, scrivendo una delle pagine più tragiche e buie della nostra storia.
Oggi, ai media e ai cittadini, interessa conoscere la verità non su un delitto, ma su un groviglio di legami, inquietanti, tra politica e affari. La verità rafforzerebbe la democrazia, che non deve essere, mai, resa opaca e debole da rapporti troppo ambigui e familistici. Può diventarlo quando comandano in pochi o, come nel 1925, uno solo. Dopo la comprensibile difesa del padre, la risposta, politica, sulle "relazioni pericolose e di clan", che emergono dal controllo della legalità, che spetta alla magistratura, e dalle informazioni all'opinione pubblica, che competono ai giornali, non può che fornirla Matteo Renzi.