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Politica
"Serve una valutazione sulla squadra". Il Pd non esclude il rimpasto

Nessuna “struttura autoreferenziale” e massimo coinvolgimento del Parlamento e dei ministri. E’ questa la strada da seguire, secondo il capogruppo dei senatori Pd al Senato Andrea Marcucci, per affrontare la sfida dei progetti del Recovery plan e per non sprecare, quindi, la dotazione dei 209 miliardi destinati all’Italia. Ma, intervistato da Affaritaliani.it, Marcucci non si sottrae e risponde anche sulla questione rimpasto, dopo essere stato il primo in Aula al Senato, in seguito all’informativa del premier Conte di ottobre scorso, a sollevare il tema di una verifica: “In un anno è successo di tutto e le ragioni della coalizione vanno certamente rinsaldate. E' all'interno di questo ragionamento che si inserisce anche una valutazione sulla squadra di governo”.

Senatore Marcucci, partiamo dalla cabina di regia immaginata da Conte per la gestione dei fondi Ue. La convince o le sembra un modo per mascherare un accentramento decisionale da parte del premier?
Credo che sia da affermare una più forte centralità del Parlamento ed una più estesa collegialità del Consiglio dei ministri. I fondi del Recovery sono una occasione storica per ridisegnare l'Italia, non possiamo permetterci di sbagliare. Per questo va favorito il coinvolgimento del Parlamento e vanno evitate strutture autoreferenziali.

Lei per primo tra le fila del suo partito sollevò, apertis verbis, in Aula al Senato, la questione di una verifica di governo. Nel Pd si sono levate altre voci autorevoli rispetto alla necessità di un tagliando alla squadra dei ministri. Crede che questo esecutivo sia inadeguato ad affrontare le sfide che ha davanti, a cominciare dai progetti del Recovery plan?
Ci aspettano sfide impegnative, vanno certamente riviste le basi dell'accordo del 2019 che portò alla nascita del Conte bis. In un anno è successo di tutto e le ragioni della coalizione vanno rinsaldate. E' all'interno di tale ragionamento che si inserisce anche una valutazione sulla squadra di governo. Superata l'emergenza sanitaria, pure questa valutazione dovrà essere fatta. E’ vero, io ho posto il tema. L’ho fatto nel luogo deputato: l'assemblea parlamentare, non sui giornali.

Sulla riforma del Mes nessun veto da parte dell’Italia. Questa “svolta” M5s reggerà secondo lei al Senato alla prova dei voti (il prossimo appuntamento decisivo sarà con la risoluzione che dovrà dare mandato al premier Conte in vista del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre)?
Intanto, è un grande nodo, che era rimasto bloccato dal governo gialloverde e che aveva a sua volta bloccato l'Europa, che noi andiamo a risolvere. Quindi, per prima cosa, mi permetta di essere soddisfatto. Affronteremo la risoluzione del 9 dicembre, mettendo in risalto la scelta del governo italiano e rimandando ad una successiva valutazione del Parlamento l'eventuale richiesta del Mes sanitario.

A proposito di Mes sanitario, la sua posizione non è cambiata, vero?
Sul tema, la mia posizione è nota: credo che il Mes sia molto utile per l'Italia. Non ho cambiato idea.

Anche sui decreti Sicurezza la tenuta è a rischio soprattutto al Senato. E’ stata sbagliata la decisione di accelerare su questo dossier proprio in una fase in cui a fatica si sta cercando di creare un ponte con le opposizioni?
Da mesi avevamo invocato una svolta sui cosiddetti decreti Sicurezza di Salvini. Per il Pd è una questione identitaria per l'Italia, non potevamo più essere considerati soprattutto come il Paese dei porti chiusi e dei migranti lasciati per settimane in mare. La riscrittura passerà anche in Senato.

Ad agitare la maggioranza di governo c’è inoltre la proposta di patrimoniale per i redditi più alti, avanzata da Nicola Fratoianni di Leu e da un esponente del Pd come Matteo Orfini. Su questa proposta c’è stata una vera e propria levata di scudi. Lei come si pone rispetto alla questione?
Non sono contrario in linea di principio, ma penso che non abbia senso parlarne ora che abbiamo davanti la sfida di ridurre le tasse. Il tema, comunque, non è all’ordine del giorno.

Passiamo alla gestione del coronavirus. Un piano pandemico non aggiornato (risalente al 2006) e un rapporto con luci e ombre dell’Oms sulla gestione italiana dell’emergenza Covid, pubblicato e subito ritirato a maggio scorso. Dall’inchiesta di Report si fa sempre più scomoda la posizione di Ranieri Guerra, direttore generale aggiunto dell’Oms ma anche direttore generale del ministero della Salute dal 2014 al 2017. Che idea se n’è fatto?
Non conosco la questione, ma basandomi sull'esperienza di ciò che ho visto come parlamentare, il mio giudizio sul governo italiano, per come ha affrontato la prima fase della pandemia, è sostanzialmente positivo. Che ci siano ritardi e debolezze anche acute nel sistema italiano, purtroppo, non è una scoperta di oggi.

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