Politica
Zampetti come Gifuni: quando il kingmaker è il funzionario, non il politico
Il ruolo del segretario generale di Mattarella ha un precedente illustre nel "suggeritore" di Scalfaro e di Ciampi
Dietro le quinte del Qurinale: i politici passano, i funzionari restano
I gustosi retroscena sulla rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica sollecitano un paragone tra Ugo Zampetti, da alcuni descritto come la vera “eminenza grigia” dell’operazione, e il mitico Gaetano Gifuni, funzionario “ombra” ai tempi di Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Nelle stanze del potere spesso sono proprio le voci più discrete ad essere le più ascoltate. Senza teorizzare quel “deep State” che turba i sonni di molti teorici del complotto, chiunque conosca la pubblica amministrazione sa bene che i politici passano, mentre i funzionari restano: di conseguenza, spesso sono proprio loro a tirare le leve del comando.
“Parolina” Gifuni: da Fanfani a Ciampi, sempre nell’ombra
Gifuni fu un esempio classico di questa tendenza. Finissimo giurista, a 43 anni venne chiamato da Amintore Fanfani a guidare la segreteria generale del Senato e vi restò molto più a lungo del suo mentore, ricoprendo lo stesso ruolo anche con i suoi cinque successori: Spagnoli, Morlino, Colombo, Cossiga e Malagodi. Dodici anni dopo, nel 1987, lo stesso Fanfani lo nominò ministro dei rapporti con il Parlamento, in quello che sarebbe stato il suo ultimo governo. Nonostante la brevissima durata dell’esecutivo (appena tre mesi), Gifuni tornò a Palazzo Madama, dove visse la transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Nel 1992 Scalfaro lo scelse come segretario generale della Presidenza della Repubblica, ruolo nel quale fu confermato da Ciampi. Di entrambi fu suggeritore molto discreto e equilibrato, al punto di meritarsi non uno, ma due soprannomi davvero eloquenti: “Parolina” e “Prudenziano”. Padre dell’attore Fabrizio Gifuni (che tra gli altri ha interpretato anche Alcide De Gasperi e Aldo Moro), il pugliese di Lucera è mancato nel 2018, a 86 anni.
L’esperienza di Zampetti nelle stanze del potere
Altrettanto lungo e significativo è stato il percorso istituzionale del 72enne Ugo Zampetti, il cui nome è spuntato sia tra i numerosi “voti dispersi” del Quirinale, sia nelle ricostruzioni di molti addetti ai lavori sulle dinamiche dell’elezione. Arrivato a Montecitorio nel 1976, ha prestato servizio ai Resoconti Parlamentari, nella Commissione Istruzione Belle Arti, come Segretario della I Commissione Affari Costituzionali, direttore dell’Ufficio ricerche e documentazione istituzionale del Servizio studi, direttore dell’Ufficio della Segreteria generale per il controllo amministrativo e nell’Ufficio Programmazione e Coordinamento Legislativo, del quale poi è diventato capo. Dal 1999 al 2014 è stato Segretario Generale della Camera dei Deputati, ruolo nel quale è stato di fondamentale supporto per i protagonisti delle varie fase politiche. Quando è apparso sulla scena il Movimento Cinque Stelle, però, il primo impatto è stato conflittuale, con i grillini in aperto contrasto contro il “Grand Commis” e i suoi ricchi emolumenti. La sua capacità diplomatica gli ha permesso di destreggiarsi tra l’appoggio di altre forze politiche e una sorta di “tutoring” fatto a Luigi Di Maio, che - essendo arrivato alla carica di vicepresidente della Camera a soli 26 anni e con nessuna esperienza istituzionale - aveva molto bisogno dei suoi consigli da esperto.
La previsione di Bisignani su Zampetti kingmaker
Il 16 febbraio 2015, dopo soli 13 giorni dalla sua prima elezione, Sergio Mattarella ha affidato a Zampetti il ruolo di Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, dove ha sostituito Donato Marra, che aveva affiancato Giorgio Napolitano per 9 anni. Un incarico che Zampetti svolge senza compenso, ma non certo senza potere. Luigi Bisignani lo aveva scritto in tempi non sospetti su “Il Tempo”: “Ugo Zampetti appare inamovibile e, da vero kingmaker qual è, sta giocando una sotterranea partita doppia premendo sulla riconferma di Mattarella almeno fino alla fine della pandemia o, in alternativa, per garantirsi la sua super postazione, puntando tutte le fiches sui suoi favoriti, Paolo Gentiloni e Marta Cartabia”. Missione compiuta: ancora una volta i veri kingmaker non sono i politici che si autoattribuiscono tale ruolo in maniera fracassona, ma gli habituè del Palazzo, che sanno muoversi in silenzio.
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