Il Sociale
Pet Therapy, ora l’Italia è un modello. Ecco che cosa cambia
“Le linee guida sulla pet therapy sono un grosso passo in avanti, una opportunità di crescita per mettere ordine in un settore che prima non aveva regole”. Luca Farina, direttore del Centro di Referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali, non ha dubbi: l’accordo approvato dalla Conferenza Stato-Regioni sulla pet therapyha dato finalmente un quadro di riferimento omogeneo a tutti gli operatori di questo campo. “Prima gli interventi erano lasciati all’iniziativa di singole università o associazioni, adesso il Ministero della Salute ha dato un riconoscimento ufficiale a questa terapia. L’Italia è diventato un modello da seguire per gli altri Paesi”.
Le linee guida sono frutto di un percorso iniziato nel 2011 e concluso lo scorso 25 marzo con l’approvazione dell’accordo Stato- Regioni. Al Centro di referenza, istituito dal Ministero della Salute presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, è stato affidato il compito di promuovere la ricerca scientifica nel settore e organizzare percorsi formativi. Non ci si potrà più improvvisare operatori di pet therapy: ci saranno dei corsi da seguire per ricoprire determinati ruoli e le strutture dovranno rispettare criteri omogenei a livello nazionale. “Ogni professionista avrà una formazione specifica ma verrà tenuta in considerazione anche quella acquisita prima dell’approvazione dell’accordo”, continua Farina.
Nel documento si pone l’accento anche sul benessere dell’animale: “Ci sono indicazioni precise su quando l’animale non può essere coinvolto in interventi con l’uomo perché questi potrebbero essere fonte di stress”. Per la prima volta poi si riconosce il ruolo dei cani d’assistenza: “Vengono educati e addestrati per aiutare la persona con disabilità, fornendo un valido sostegno nella vita di tutti i giorni”.
Le Regioni terranno anche un registro delle strutture che effettuano pet therapy e a prescrivere la terapia assistita con gli animali dovrà essere un medico. “Esiste ancora un po’ di titubanza da parte del mondo scientifico anche se in Italia ci sono esperienze decennali di pet therapy negli ospedali. Alcuni esempi sono l’Azienda Ospedaliera di Padova, il Niguarda di Milano, il Meyer di Firenze, Le Molinette di Torino, l’Umberto I di Roma”.
La pet therapy si rivolge non solo a pazienti con problemi fisici o neurologici, ma anche a detenuti, tossicodipendenti, bambini autistici e minori stranieri non accompagnati, etc. L’Italia è all’avanguardia in questo campo e notevole è il numero di progetti portati avanti da onlus ed enti pubblici e privati. L’associazione Noa Pet Therapy lavora con pazienti psichiatrici: “Il cane riesce ad instaurare un rapporto con chi ha malattie mentali croniche anche quando la persona rifiuta l’interazione con gli altri”, afferma Sonia Sdrubolini, presidente dell’associazione. “Abbiamo avuto un caso in cui un paziente che non parlava da anni ha pronunciato il nome dell’animale”.
L’associazione ha avviato dei progetti di pet therapy anche nell’ospedale di Macerata, al reparto di oncologia. “C’è stata all’inizio un po’ di diffidenza perché spesso si crede che il cane sia portatore di infezioni e germi. In questi casi invece l’animale può aprire canali di comunicazione inaspettati e aiutare il paziente ad accettare la sua malattia. La sua presenza permette alla persona di sentirsi accolta, di sorridere anche in un momento di difficoltà. Lavoriamo anche nelle classi dove ci sono bambini disabili: l’animale ti accetta per come sei e questo aiuta i più piccoli ad avere una nuova consapevolezza di sé”. (da redattoresociale.it)