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Coronavirus, avvocato diritto sportivo: "Calcio, le norme per poter ripartire"

Quando riparte il calcio italiano? Il problema è anche di diritto sportivo. L'avvocato Turinetti di Priero: "Alcume norme ad hoc per gettare la mascherina"

Di Lorenzo Pastuglia (@pastu_jami22)

Con il coronavirus che sta piegando in due il mondo, lo sport si è fermato in quasi tutti i Paesi. Se si parla di calcio, in particolare di quello italiano, proseguono al momento le discussioni sulle date delle possibili riprese di allenamenti e campionati professionistici, di tagli degli stipendi e di possibili fallimenti per quanto riguarda squadre dilettantistiche o di categorie ancora più inferiori. Il problema però non è solo sportivo o sanitario, perché in questi giorni ci si è interrogati anche di diritto sportivo. Per esempio: quali sono gli strumenti offerti per rinegoziare i contratti dei calciatori ed evitare il fallimento dei club? Diritti che coinvolgono anche il tema della salute dei calciatori. Sempre prioritaria, dato che non bastano gli stadi vuoti per evitare il rischio di contagi, quando in campo scendono 22 atleti che per oltre 90 minuti giocano a polmoni aperti. Il rischio è che un giocatore (magari asintomatico) possa rilasciare nell’aria quelle goccioline infette che possono poi essere assunte da un altro. A fare chiarezza, ad Affaritaliani, è Vittorio Turinetti di Priero, 48 anni, avvocato a capo del dipartimento di diritto e business sport dello studio legale milanese Lca.

Avvocato Turinetti, in Serie A si è creata una fazione: c’è chi spinge per terminare la stagione (il presidente del Brescia, Massimo Cellino, e quello del Torino, Urbano Cairo) e chi vuole proseguire (il presidente della Lazio, Claudio Lotito). Lei come la vede? 

Il calcio è lo sport più popolare, ha una valenza sociale estremamente importante e farlo ripartire significa fare un primo passo verso la normalità. La difficoltà sta nel come, perché i protocolli sanitari attuali impongono il distanziamento sociale, del tutto inapplicabile in una partita di calcio. Occorrerà quindi un intervento normativo del legislatore ad hoc, per introdurre la legittimità di norme di sicurezza ‘alleggerite’.  Un punto delicato perché, in qualche modo, ne va del diritto alla salute dei calciatori. E della responsabilità civile e penale dei dirigenti responsabili nelle società sportive per la sicurezza dei loro dipendenti, tra cui i calciatori. Cosa succederebbe se un giocatore venisse contagiato nell’esercizio dell’attività sportiva? Come dovrà comportarsi il suo club di appartenenza?

Appunto, mettiamo in conto che si ritorni a giocare e ci siano dei nuovi contagi. Cosa si farebbe a quel punto?

È la vera domanda. Secondo i protocolli, tutti i compagni di squadra dovrebbero andare in quarantena e il campionato dovrebbe essere nuovamente sospeso. Oppure si riuscirà a convincere medici e scienziati che il livello di controllo cui saranno sottoposti i giocatori potrà rendere possibile un’eccezione ‘complessiva’ ai protocolli in vigore?  Non sono sicuro peraltro che tutte le società professionistiche siano in grade di garantire questi controlli. Penso in particolare alla serie C, dove le risorse sono senz’altro inferiori.  Non per nulla si pensa di fare iniziare prima la Serie A, e poi B e C a seguire.

In Serie B il vero problema per la ripresa sono le assicurazioni antinfortuni e anticovid. Come un altro problema, sempre per quanto riguarda i calciatori, riguarda la scadenza dei loro contratti validi fino al 30 giugno, quando il campionato finirebbe un mese dopo…

Per quanto riguarda l’assicurazione anticovid, è facilmente reperibile sul mercato e credo che si arriverà a un accordo. Il tema è soprattutto quello di un eventuale sforamento dei contratti. Un intervento delle istituzioni calcistiche possono ovviare sotto il profilo regolamentare, ma occorre un accordo su chi paga il giocatore nel periodo di estensione della durata contrattuale e chi si prende la responsabilità di un eventuale infortunio nello stesso periodo. Ecco spiegato il problema dell’assicurazione antinfortuni.

E come fare con le squadre di categorie inferiori alla C? 

Tutto il calcio, così come qualsiasi attività d’impresa, sta soffrendo gli effetti della pandemia. Se i problemi ci sono a livello professionistico, lo saranno ancora di più nelle categorie minori e nelle scuole calcio. Le entrate diminuiranno e molte società rischieranno così di scomparire.  Ci vuole davvero uno sforzo da parte di tutti per salvare il sistema calcio nel suo complesso.  Senza dimenticare ovviamente tutti gli altri sport.

Vittorio Turinetti di Priero (avvocato diritto sportivo)L'avvocato in diritto sportivo dello studio legale Lca, Vittorio Turinetti di Priero, 48 anni

Quindi quale potrebbe essere la soluzione?

La creazione di un Fondo di solidarietà per fronteggiare la situazione potrebbe essere una soluzione intelligente. Buttando una cifra a caso, se ad esempio si prendesse l’1% ai contratti superiori a determinati parametri (magari a carico di società e calciatori in parti uguali), il denaro che si ricaverebbe contribuirebbe in maniera significativa a salvare il pianeta calcio. E così potrebbe essere con le serie dilettantistiche o ancor più inferiori. Oltre la Serie C non credo che si debba ritornare a giocare, il rischio di un maggior numero di contagi aumenterebbe vertiginosamente e non avrebbe senso. Piuttosto, meglio pensare di trovare un salvagente.

Questo però non aiuterebbe squadre di categorie inferiori che stanno controllando il campionato come per esempio il Palermo in Serie D…

Questa è una questione più di titoli sportivi di competenza delle istituzioni calcistiche. Lo ripeto: io credo che sia giusto tornare a giocare perché c’è voglia di normalità e di evasione, dopo settimane chiusi in casa a guardare serie TV. Il fatto sportivo, a mio parere, viene dopo: prima c’è la questione sociale, insieme a quella economica.

A proposito di tagli degli stipendi, in Serie A finora solo tre club li hanno applicati: la Juventus, la Roma e il Parma. Quanto può essere importante per società e calciatori metterla in atto?

Moltissimo, sarebbe una sorta di occasione di riscatto sociale che darebbe più luce alla figura del calciatore stesso, visto spesso come un viziato e un riccone. Dare l’esempio consentirebbe al giocatore di far sorridere i propri fan, dato che oggi siamo passati dall’essere tutti allenatori a virologi, epidemiologi e futurologi. Per quanto riguarda le società, invece, la questione è soprattutto di tipo economico: con un taglio degli stipendi si avrebbe quella liquidità in più che può fronteggiare le perdite nei ricavi di questi mesi che arrivavano da botteghini e merchandising. Oltre alle entrate minori in fatto di diritti televisivi e di sponsor. 

Per concludere, si può dire che le Pay TV rappresentano forse il principale motivo per cui si tornerà a giocare fino a estate inoltrata? 

Certamente sì. Le Pay TV sono i maggior contributori del sistema calcio. Hanno pagato per trasmettere 38 partite. E hanno fatto sottoscrivere gli abbonamenti garantendo la visione dell’intero campionato. Se ci si ferma, è intuitivo (oltre che giuridicamente obbligatorio) che non le Pay TV non pagheranno parte dei diritti televisivi.