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Venezia 77, Pupi Avati insignito del Premio Robert Bresson 2020
Il premio, conferito da Fondazione Ente dello Spettacolo, è stato ritirato dal regista al Lido di Venezia, il quale ha raccontato molti aneddoti della sua vita
Il Premio Robert Bresson è il riconoscimento di Fondazione Ente dello Spettacolo all’opera cinematografica di quel regista che con i suoi film indaga le dimensioni più autentiche dell’Uomo, la ricerca del senso e l’apertura allo spirituale.
A pochi giorni dalla fine delle riprese del suo ultimo film “Lei mi parla ancora”, sostenuto sempre dal Fondo regionale per l’audiovisivo dell’Emilia-Romagna, e tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Sgarbi, padre del critico d’arte Vittorio Sgarbi e della regista e scrittrice Elisabetta Sgarbi, il regista bolognese Pupi Avati ha ritirato all’Hotel Excelsior del Lido di Venezia il Premio Premio Robert Bresson 2020 conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo come le seguenti motivazioni: “Nel corso del suo lungo e appassionato percorso artistico, Pupi Avati ha affrontato generi e registri espressivi diversi e distanti tra loro, dall’horror gotico alla commedia familiare, dall’autobiografia che evoca il passato nella provincia emiliana al dramma storico di epoche perdute. Ma c’è qualcosa che accomuna tutti i frutti della sua opera: in ognuno risplende sempre il desiderio di raccontare luci e ombre del mondo, attraverso il diaframma di uno sguardo lucido e capace di penetrare i sentimenti nascosti e le pulsioni più inconfessabili degli esseri umani. La scelta di conferirgli, quest’anno, il Premio Bresson, ci è apparsa naturale. Da oltre cinquant’anni, Pupi Avati scandaglia le dimensioni più autentiche dell’essere umano e ne ricerca il senso spirituale, per scorgere la grazia nell’ombra delle cose. Un maestro che, come pochi altri nel panorama italiano, ha parlato al cuore degli spettatori, grazie alla coerenza di un inesauribile lavoro di educazione allo sguardo in grado di modificare la realtà osservata, di rinnovarla e fecondare l’immaginazione”
“Sabato 12 settembre – spiega il regista - finisco le riprese. Nel film, interpretato da Renato Pozzetto, viene raccontata la storia di Giuseppe “Nino” Sgarbi, profondamente innamorato della donna della sua vita, Caterina “Rina” Cavallini. Nel corso dell’incontro, moderato dalla giornalista Rai Tiziana Ferrario, il direttore della mostra Alberto Barbera, accompagnato dal presidente della Biennale Roberto Ciccuto, ha sottolineato l’importanza di aver creduto nello svolgimento della Mostra del Cinema, che fino al momento si è svolta secondo tutti i programmi di sicurezza dettati dal Covid-19. “Il bilancio è positivo – sottolinea Barbera - non c’è alcun film che non sia piaciuto a nessuno. Non potremmo essere più soddisfatti. Barbera parla dell’importanza del Premio Robert Bresson, giunto alla sua 21 edizione, e ringrazia mons. Davide Milani (presidente Fondazione Ente dello Spettacolo), che ribadisce “Non possiamo legare il destino di un Paese solo all’economia, abbiamo bisogno di cultura e la Mostra ne è la dimostrazione”. Per Pupi Avati “Robert Bresson era uno dei registi più alternativi della cinematografia mondiale, sapeva raccontare quell’uomo che non si vede, riusciva a tirare fuori la parte più intima della persona. Io vado in chiesa e chiedo a Dio di esistere. Come diceva Dino Buzzati. Ammiro molto mia sorella che spesso si reca al santuario di San Luca a Bologna. L’ultima volta che sono stato l’ho guardata, e più che mia sorella ho visto la figura della Madonna. Lei parla con nostra madre dall’aldilà, e quando mi trovo con lei imparo a essere un credente totale. Vorrei poter pregare come mia sorella. Per me è un grande sacrificio pregare e quando sono in chiesa vado ad occupare la stessa panca di mia madre e cerco in quella chiesa, che ormai è deserta, di trovare quelle condizioni che aveva mia madre per gioire”.
Il regista, riferendosi anche alla propria esperienza persona, continua: “Mia madre diceva che se si chiude una porta, si apre sempre un portone . Se guardo alla mia carriera, posso dire che con 50 film alle spalle la mia vita è stata un miracolo." Pupi Avati ricorda anche gli inizi della carriera di regista, quando decise di abbandonare la carriera di rappresentante di commercio per inseguire il sogno del cinema a Roma, della lettera ricevuta dallo scrittore Ennio Flaiano (lo stesso che sceneggiò La Dolce Vita di Fellini) in cui lo pregava di non mandargli più scritti cinematografici e del leggendario Mister X, (cosi si faceva chiamare) un costruttore facoltoso di Roma, che ha finanziato il suo primo film Balsamus, l'uomo di Satana nel 1968. Uscì per la prima volta al Salone Margherita di via dei Due Macelli, quando ancora non era utilizzato solo come cinema, e fu visto da Mario Monicelli che ne parlò da subito bene. Avati lo venne a sapere e per ringraziarlo lo andò a salutare al ristorante che generalmente frequentava, da Mario in via della Croce. Fecero un tragitto di strada insieme fino a via del Babuino; Pupi Avati era inconsapevole del fatto che pure Monicelli abitava nella sua stessa strada, nel suo stesso palazzo. "La cosa curiosa – continua Avati – è che ci rivedemmo pochi giorni dopo all’ospedale San Giacomo dove io avevo avuto infarto, e lui un terribile incidente automobilistico. Avevamo la camera una di fronte all’altra, e io vedevo arrivare tutto il cinema italiano che veniva a trovare uno dei più importanti registi, reduce da grandi successi di critica e pubblico. Alcuni attori che hanno lavorato in alcuni dei miei film li ho conosciuti mentre andavano a trovare il grande Monicelli in ospedale"