Sono i governi o le banche centrali ad aver creato l’infelice situazione attuale? - Affaritaliani.it

Finanza

Sono i governi o le banche centrali ad aver creato l’infelice situazione attuale?

Dopo otto anni e mezzo dalla crisi dei subprime, i mercati azionari globali ancora una volta devono preoccuparsi per la solidità delle banche.

Per molti osservatori la responsabilità di questa nuova situazione va attribuita alle banche centrali e alle loro politiche accomodanti, in particolare al “quantitative easing”. Sono loro che, iniettando miliardi di dollari, euro, sterline e centinaia di miliardi di yen, imponendo tassi negativi, avrebbero creato ed alimentato una bolla nei mercati, che adesso è scoppiata.

Questa spiegazione non è del tutto sbagliata. Le politiche di alleggerimento quantitativo di Fed, Banca d'Inghilterra, Banca del Giappone e BCE hanno sicuramente riversato enormi quantità di liquidità nei mercati. Però la loro penetrazione nell'economia reale è stata più lenta, se non addirittura molto relativa.

Ma questa spiegazione è parziale. Questo nuovo shock è probabilmente solo la continuazione della grande crisi del 2007, la crisi della deregulation. Una crisi che ha visto due fasi: il fallimento di Lehman Brothers nel 2008, con il sistema finanziario sull'orlo del baratro, e il "salvataggio" della Grecia, in ritardo e inefficiente, nel 2010, che ha immerso la zona euro nella crisi economica da cui sta cercando di uscire. In entrambi i casi, l'errore è stato causato anche dai governi, desiderosi di gestire solo il breve termine e confinati nelle loro certezze economiche basate sulla pretesa efficienza del mercato.

Le banche centrali quindi hanno dovuto intervenire per cercare di minimizzare il danno, anche se in Europa lo hanno fatto con colpevole ritardo. Si è dovuto attendere il passaggio di mano da Trichet a Draghi, perdendo così tempo prezioso.

Ma l’insufficienza degli interventi non è da attribuire alle sole banche centrali: c’è anche una forte responsabilità dei governi che hanno contato esclusivamente sulla politica monetaria pensando che fosse sufficiente mentre, al contrario, ha gettato le economie nella recessione. L'esempio della zona euro è, da questo punto di vista, molto eloquente. Tra il 2010 e il 2014 i governi e le autorità europee, compresa la BCE, hanno portato a una politica incentrata sul consolidamento fiscale e a riforme strutturali tese soprattutto a ridurre i costi del lavoro. Politiche chiaramente deflazionistiche che hanno rovinato il potenziale di crescita europeo e distrutta la fiducia nel futuro.

Inoltre, questa politica deflazionistica europea ha avuto altre ripercussioni. La riduzione della crescita europea ha pesato sulle esportazioni di diversi Paesi, come la Cina, che nel suo intento di trasformare la propria economia in meno dipendente dalla domanda esterna e più da quella interna, ha finito a dover gestire una sovrapproduzione industriale e un'esplosione del debito nel 2012. Inevitabilmente la crescita è rallentata, con minori prezzi delle materie prime e diminuzione della domanda cinese di importazioni. Di qui due conseguenze per l'area dell'euro: un ulteriore calo dell'inflazione e un rallentamento delle prospettive economiche.

Tuttavia non va dimenticato che le banche centrali hanno frenato il ciclo deflazionistico. Senza la politica del quantitative easing, l'inflazione sarebbe stata negativa, diciamo meno 0,8%, il che avrebbe innescato certamente una spirale deflazionistica non solo a danno degli investimenti, ma con problemi per salari e occupazione. L'azione della BCE nel 2014-2015 è stata quindi essenziale, come nel caso delle crisi precedenti.

Chi sono allora i responsabili della situazione attuale? Non resta che guardare alle autorità europee che hanno condotto una politica deflazionistica e rifiutato qualsiasi vera e propria politica in grado di stimolare la crescita e di rendere concrete le azioni avviate per l’euro dalla BCE governata da Draghi.

Paolo Brambilla