Affari Europei

Brexit, Cameron: libertà di voto ai ministri. Gli analisti: economicamente svantaggioso

Parlando davanti alla Camera dei Comuni, il premier inglese David Cameron ha annunciato di voler lasciare libertà di coscienza ai propri ministri. Questo significa che i membri del governo conservatore potranno esprimersi pubblicamente a favore dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea.

Il premier ha intavolato delle trattative con Bruxelles, e in particolar modo con il Consiglio, che raggruppa i capi di governo dei Ventotto, per chiedere che Londra sia svincolata dai Trattati Ue su una serie di dossier tra cui, i due più spinosi, sono la libertà di movimento e il welfare per i non inglesi. Cameron ha sempre detto di non voler vedere Londra fuori dall'Ue, ma ha annunciato che voterà per la Brexit nel caso in cui le sue richieste non vengano accolte da Bruxelles.

Diversi ministri, almeno quattro, sono apertamente favorevoli all'abbandono di Londra dell'Unione, qualunque sia l'esito delle trattative. L'Europa è un tema su cui è facile fare presa nell'opinione pubblica, spaventata dalla crisi dei migranti, dal terrorismo e dalla recessione economica. I sudditi di Sua Maestà vorrebbero chiudere le frontiere non solo ai richiedenti asilo, ma anche agli altri cittadini Ue che ogni anno raggiungono Londra in cerca di lavoro. C'è la percezione che una Inghilterra indipendente sarebbe in grado di proteggersi meglio, anche dal terrorismo, e di crescere più vigorosamente.

Il referendum secessionista dovrebbe tenersi entro il 2017, mentre a febbraio si terrà un Consiglio europeo proprio incentrato sulla questione inglese. Il premier britannico, fermo ma cauto, ha fatto sapere di voler lasciare un congruo lasso di tempo tra il vertice e le urne e che il voto non dovrà essere espresso sull'onda delle emozioni, ma ponderato attentamente.

Già, perché l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, benché solletichi il sempre forte nazionalismo (e isolazionismo) britannico, avrà effetti profondi sull'economia. Ad esempio le industrie non potranno più esportare liberamente i loro prodotti. Ed è per questo che la Confindustria britannica sta facendo campagna per il no. Ma anche le società di servizi avranno più difficoltà ad operare sul continente: verrebbero reintrodotte tutte le barriere, anche burocratiche, che l'Unione aveva dissolto.

E anche la City, il vero motore della crescita inglese, potrebbe vedere scappare molti investitori. Secondo Willem Buiter, chief economist di Citi, “l'effetto sarebbe drammatico”. “Una profonda recessione e una crisi finanziaria sarebbero inevitabili”. L’impatto sarebbe negativo nell’immediato per la sterlina e i mercati finanziari, mentre sul medio termine molte banche e istituzioni internazionali potrebbero scegliere un’altra sede per le loro divisioni europee.

Lo spettro di Brexit è stato anche evocato da Société Générale, che in uno studio ha avvertito che la decisione di uscire dalla Ue “infliggerebbe seri danni economici” alla Gran Bretagna portando ad una riduzione del Pil dello 0,5-1% ogni anno fino almeno al 2026.

Fin qui gli europeisti. Ma Business for Britain, associazione che riunisce imprenditori e comuni cittadini favorevoli a una rinegoziazione dei rapporti con la Ue, ha stimato come il reddito delle famiglie incrementerebbe in media di mille sterline in caso di Brexit. E anche le altre associazioni che stanno facendo campagna per il sì, come Vote Leave, sfornano dossier a favore della Brexit denunciando, non a torto, gli sprechi dell'Unione e la burocrazia che soffoca la libera iniziativa economica.