Commercio, Salini: Cina opportunità, ma dobbiamo giocare ad armi pari
Massimiliano Salini, eurodeputato di FI, commenta con Affaritaliani.it lo stato delle relazioni commerciali tra Cina ed Europa
Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani
Onorevole Salini, a Strasburgo si é discusso dei Tdi, che cosa sono?
“Sono i Trade defence instruments, quegli strumenti cioè che gli Stati possono utilizzare per proteggersi dal dumping dei prodotti cinesi, che venduti a bassissimo costo mettono fuori mercato quelli europei. L'Italia é il Paese in Europa che fa più ricorso a questi strumenti”.
Come mai se ne sta discutendo proprio adesso?
“Perché entro novembre la Commissione europea dovrà decidere se concedere alla Cina lo status di economia di mercato. Questo comporterebbe per l'Europa l'impossibilità di adottare misure per proteggere i propri mercati dalla concorrenza sleale di Pechino”.
La Cina non é una economia di mercato?
“Assolutamente no, per vari motivi. Primo, perché molte delle sue imprese sono statali e non operano secondo regole di mercato. Secondo, perché le nostre imprese che vogliono lavorare in Cina non sono trattate in maniera uguale a quelle cinesi. Terzo, perché lo stato sovvenziona pesantemente certi settori produttivi”.
Come l'acciaio?
“Precisamente, su questo stiamo facendo una battaglia feroce. La Cina ha avuto una contrazione interna della domanda di acciaio ma continua a produrne in grande quantità. Le eccedenze vengono esportate, anche sottocosto grazie alle sovvenzioni statali, e stanno mettendo in crisi le nostre imprese”.
Come fa la Cina a produrre a prezzi così bassi?
“Perché le acciaierie sono aiutate economicamente dallo Stato. E perché non devono rispettare tutta la normativa che abbiamo in Europa sulla tutela dell'ambiente e dei lavoratori. Senza contare il costo dell'energia, che in Italia é astronomico”.
Quali sono i settori dell'economia italiana che rischiano di risentire della concorrenza cinese?
“Sono moltissimi, oltre all'acciaio anche la ceramica, il design, la filiera della carta, del cemento e del legno. Ma in generale tutta l'industria é a rischio”.
Torniamo al Parlamento europeo. Che cosa state facendo per proteggere l'economia europea dalla concorrenza sleale cinese?
“Prima di tutto a maggio abbiamo votato una dichiarazione per chiedere alla Commissione di non riconoscere a Pechino lo status di economia di mercato. Ora la Commissione dovrà esprimersi, la palla poi passerà a noi in Parlamento e infine in Consiglio. Inoltre abbiamo chiesto alla Commissione di sbloccare il dossier sui Tdi, che sono fermi in Consiglio dal 2014”.
Perché non sono stati ancora approvati?
“Perché ci sono alcuni Stati contrari, sono Paesi che non hanno un forte apparato industriale e hanno una visione mercantilistica dell'economia. Sto parlando della Gran Bretagna, dei Paesi baltici e di quelli scandinavi”.
In Plenaria avete approvato anche una raccomandazione per chiedere alla Commissione di proteggere il settore della produzione di materiale rotabile dalla concorrenza sleale estera. Di cosa si tratta?
“Anche il mercato europeo dei materiali rotabili, quindi locomotive, segnaletica, cavi e cosí via, deve difendersi dalla concorrenza sleale dei produttori esteri, come la Cina. É in atto lo stesso meccanismo di dumping che stiamo vivendo con l'acciaio”.
L'Europa ha la forza di opporsi a Pechino?
“Non é una questione di opporsi alla Cina, ma di giocare ad armi pari secondo regole condivise. Un miglioramento delle condizioni di dialogo e di condivisione delle regole del mercato non solo avrebbe come effetto quello di migliorare il commercio, ma consentirebbe anche un maggior collegamento infrastrutturale”.
In che senso?
“Invece di avere l'alta velocità Pechino-Mosca, potremmo avere Pechino-Lisbona. Avremmo tutto da guadagnarci. Dobbiamo creare una alleanza tra le capacità produttive europee, le materie prime russe e l'economia cinese per creare un'area commerciale coesa. In questo modo manterremmo sull'Europa la centralità dell'economia mondiale”.
Non é meglio guardare agli Usa?
“Dobbiamo guardare anche verso Washington, ma una Europa piú forte dal punto di vista economico e commerciale porterebbe gli Stati Uniti ad avere anche un atteggiamento meno prepotente nei confronti dell'Europa, come si sta vedendo sul Titp”.