Il mistero Pasolini. In tutto il mondo si celebra il centenario della nascita

Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale poliedrico. I suoi interessi simultanei per la poesia, la letteratura, il giornalismo e il cinema

Di Giuseppe Vatinno
Costume

Il mistero Pasolini. In tutto il mondo si celebra il centenario della nascita

Quest’anno cade il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini. L’intellettuale, scrittore, poeta, giornalista e regista fu ucciso, in circostanze ancora non ben chiarite, il 2 novembre 1975 presso l’Idroscalo di Ostia. Da allora è passato molto tempo e la sua fama si è non solo consolidata ma sparsa per il mondo. E proprio questo periodo natalizio vede l’intensificarsi delle commemorazioni del suo centesimo genetliaco con mostre e iniziative internazionali.

Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale poliedrico. I suoi interessi simultanei per la poesia, la letteratura, il giornalismo e il cinema ne fanno una figura quasi unica nel panorama culturale italiano. Probabilmente superiore, ad esempio, all’amico Alberto Moravia non solo per la qualità dei temi trattati, ma anche per una sorta di primeva multimedialità panprospettica che lo contraddistinse e che gli permise di osservare le vicende “dall’alto”.

Pasolini, prima ancora che intellettuale, fu però un uomo complesso e tormentato, si pensi solo al suo essere omosessuale dichiarato nell’Italia bigotta e perbenista di quegli anni. Fu certamente e volutamente “figlio del popolo”, anche se non di nascita, essendo la sua una famiglia borghese, ma fu soprattutto testimone ed attore di un certo tipo di sentire post – industriale che traeva contemporaneo godimento e disperazione da una “estetica del malessere” che si faceva luogo materiale proiettato nelle borgate romane e in una Ostia metafisica trasfigurata dalla selvaggia ed incontaminata foce del Tevere, chiamata  dai romani “Fiumara grande”, al confine con Fiumicino, luogo peraltro, in cui lui stesso fu ucciso.

Una Ostia ponente poi magistralmente descritta nel film “Amore tossico” del 1983 di Claudio Caligari. Borgate degradate, che uscivano dalla guerra tra le macerie spirituali e materiali. Borgate abitate dai suoi “ragazzi di vita”, esemplificati in attori simbolo come Franco Citti, indimenticato protagonista di “Accattone” del 1961 o in Ninetto Davoli, in cui un sesso ancora primordiale e dionisiaco scaricava una vitalità ingenua e creatrice che conteneva, secondo il poeta friulano, la vera essenza della vita.

Questo perché PPP si creava una sua religione basata sull’unica verità possibile ai suoi occhi smaliziati: quella appunto del sottoproletariato romano, delle borgate polverose ad est della Capitale, di una esistenza fatta di stenti ma anche di gioie basiche, non mediate dal tarlo dell’analisi che lo possedeva ma che, nel contempo, gli donava uno strumento privilegiato per osservare nei dettagli, come in una sorta di microscopio sociale, quell’umanità dolente ed affascinante. Ed ecco le sue prostitute amorevoli e drammatiche, come nel film “Mamma Roma” del 1962 interpretato da Anna Magnani o la figura comica e tragica di Stracci, il ladrone buono dell’episodio ‘La Ricotta‘ nel film Ri.Go.Pa.G. del 1963 diretto da Pasolini stesso insieme a Rossellini, Godard e Gregoretti.

Bisogna avere un nuovo senso estetico per apprezzare la bellezza nascosta nel degrado polveroso e desertico di quelle periferie romane; non bastano i sensi usuali, occorre la “romaestitudine” e Pasolini questo nuovo senso ce l’aveva, eccome. Ma Pasolini non visse solo l’’estetica del degrado”, se così possiamo chiamare la sua antinomia esistenziale. Egli fu profeta occhiuto della china che l’Italia del boom si accingeva a percorrere dal punto di vista sociale, del precipizio che aveva imboccato.

Vide Pasolini il pericolo dei nuovi strumenti di comunicazione e cioè della televisione massificata e di una distruzione tecnologica che il tessuto rurale e contadino dell’Italia stava subendo. Pasolini aveva capito che il micidiale vincolo del consenso di massa avrebbe degradato prima, e distrutto poi, la società civile come è effettivamente avvenuto. Inseguire infatti i gusti della massa non poteva -ragionava l’intellettuale friulano- che abbassare il livello qualitativo e Pasolini non conosceva Internet e i Social. 

Pasolini che sintetizzò in un articolo, “Il vuoto del potere”, apparso sul Corriere della Sera il 1 febbraio 1975, la sua amarezza per la trasformazione dell’Italia rurale a lui cara con la frase divenuta famosa della «scomparsa delle lucciole dalle campagne italiane» che non significava solo le lucciole come insetti, ma si trattava di “lucciole simboliche”, ”lucciole sociologiche” rappresentative del cambiamento profondo del tessuto sociale italiano dovuto all’affermarsi del consumismo che PPP identificava con un nuovo “fascismo democristiano” solo apparentemente svuotato di potere e per questo ancor più pericoloso perché non visibile e contro cui non c’erano anticorpi.

Alberto Moravia, nella sua commemorazione, in un famoso discorso pubblico disse che la perdita di Pasolini era una perdita immensa perché “di poeti veri ne nascono pochissimi. Al massimo un paio in ogni secolo”. La sua fine è ancora avvolta nel mistero. L’unico colpevole identificato è stato Giuseppe Pelosi, conosciuto come “la rana”, uno di quei ragazzi di vita che costellano le sue opere. Tuttavia la verità è tutt’altro che accertata. Il Pelosi cambiò più volte versione e da ultimo la genìa dei complottisti si è impossessata dell’argomento e così i possibili moventi si sono moltiplicati: da uno politico maturato nell’ambiente neofascista romano si è passati poi a quello industriale, per il suo ultimo libro “Petrolio” incompiuto e poi a quello del riscatto per la sparizione delle copie del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, con l’immancabile comparsa della Banda della Magliana. La verità resterà celata tra le reti a bilancia dei pescatori e di quegli scogli inquietanti e meravigliosi che così tanto lo affascinavano.

 

 

 

 

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