Le star mondiali puntano sull'olio nostrano, ma l'Italia non sa valorizzarsi
L'Italia lentamente sparisce perché non sa puntare sui suoi tesori. Sting, Jim Kerr, Greenwood (Radiohead) vendono la qualità italiana. Olio a 68 € a litro
La denatalità italiana è al limite. Rischiamo l'estinzione e di diventare solo un paradiso per ricchi. La politica che fa? La mano destra non sa cosa fa la sinistra. Bravissimo Greenwood dei Radiohead che vende così l’olio italiano che produce: “Mejo de cuscì non se trova. Jemo a magnà". La polemica sulla “sostituzione etnica di Lollobrigida”? Stupida
Tutti applaudono l’orchestra sul Titanic, mentre affonda. Tra poche generazioni gli italiani potrebbero diventare solo un brand mondiale e non essere più una popolazione. Ma chi se ne frega, non c’è alcun dramma, non lo dicono i media mainstream. Come scrisse quel genio di Marcello Marchesi, ricordato di recente: “Se uno potesse apparire in video tutte le sere alla stessa ora a dire ‘Mangiate un cucchiaio di merda, che fa bene’ dopo un mese tutti la mangeremmo”.
Il declino della natalità è iniziato nel 2009 e sta proseguendo anno dopo anno. Il tasso medio di natalità nel mondo è stimato a 17,5 nascite ogni 1.000 abitanti. In Italia nascono 7 bambini su 1.000 a fronte di 12 morti. Facile intuire l’epilogo.
Di recente il giornalista Peppe Rinaldi ha pubblicato per Tempi un reportage su Amalfi: rischia l’estinzione in 20, 30 anni. Stesso esito per la Costiera Amalfitana: Vietri sul mare, Cetara, Maiori, Minori, Tramonti, Conca de’ Marini, Amalfi, Scala, Ravello, Atrani, Praiano, Positano, Furore. Paesaggi mozzafiato, cultura millenaria, cibo da urlo ma quasi più nessuno può permettersi di abitarci. Anche a Venezia il crollo è verticale, scesa sotto i 50.000 abitanti, perdendo due residenti al giorno.
Ovvio: se accetti che delle meraviglie diventino solo business e non luoghi da abitate, la gente comune migrerà altrove o resisterà non potendosi permettere figli. E’ la nostra storia recente. La catastrofe italiana a Cetara diventa ecatombe: 3 nati nel 2021 e tanti morti. Restano gli anziani e le società che fanno business.
Se da decenni non c’è alcun welfare per invertire la tendenza, come ha spiegato di recente il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida aggiungendo “non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica”... si dice “vabbè, gli italiani fanno meno figli e li sostituiamo con qualcun altro”, il risultato finale è inevitabile. Scandalo: ha parlato di sostituzione etnica! E cosa sarebbe altrimenti, quando importiamo forza lavoro immigrata che nessuno ha risorse adeguate per integrare? Che giustamente tutto hanno come priorità fuorché portare il marchio dell’Italia nel mondo, con il suo portato di cultura, arte, bellezza, paesaggi mozzafiato, eleganza, gusto, ingegno, lavoro, socialità?
Viviamo immersi nella bellezza, come nessuno sul pianeta, una qualità di cui in Italia può usufruire anche chi è povero, non solo i ricconi. Ma gli immigrati non sono italiani, tanti vivono in ghetti riproducendo nel Belpaese le proprie culture, lo Stato non interagisce con le loro famiglie se non in termini vessatori, i loro figli sanno poco di dove vivono, la globalizzazione dà loro ancora meno contatti col territorio e chi prova a fare l’italiano di seconda-terza generazione si prende pure delle pernacchie e delle angherie. Siamo tutti meticci e un miscuglio di culture antiche ma non per questo chi è cresciuto e vissuto in Italia ha lo stesso portato culturale di chi lo ha fatto in una regione della Cina, in Sudafrica, negli Stati Uniti o in qualsiasi altro interessante luogo del mondo. Ma sì sa, nel nostro tempo l'ottusità ideologica è diventata intelligenza intellettuale, questione che fa almeno ridere o ricrederci sull'intelligenza.
Chi tiene alta la bandiera e sembra comprendere la qualità italiana sono le ricche star straniere. Sting in Toscana a Palagio, colline tra Firenze e Arezzo, produce olio e vino. Prima di lui lo facevano i vecchi toscanacci finiti all’ospizio. Qualche anno fa The Telegraph raccontò che il musicista consentiva la possibilità di usufruire del suo enoturismo e di vendemmiare pagando una cifra di 208 sterline al giorno (262 euro). Un’altra icona, Jim Kerr dei Simple Minds, vive a Taormina dove gestisce un hotel chiamato "Villa Angela", acquistato nel 2000. Fategli parlare dell’Italia: gli luccicano gli occhi. Non si tratta di avere una casa in Italia ma di produrre con la mentalità italiana. Come Helen Mirren che nella sua masseria a Tiggiano, in Puglia, ha 400 piante di melograno e vuole fare succo bio. L’ultimo è l’olio made in Marche del chitarrista dei Radiohead ‘Jonny’ Greenwood (due nomination agli Oscar). “Mejo de cuscì non se trova. Jemo a magnà". Questo il suo annuncio sul web, in dialetto marchigiano, per l’olio che produce con la famiglia nel Fermano, venduto a 60 sterline al litro (68 euro). Racconta la socialità degli italiani, la bellezza del nostro universo paesaggistico e artistico.
E’ caro? Fa male? No, fa benissimo! Sono gli italiani che non comprendono appieno la potente qualità della propria cultura che dovrebbero gestire a peso d’oro, forse perché viaggiano poco e non vedono cosa c’è fuori. Non tanto per far diventare l’Italia un enorme parco delle meraviglie per ricchi ma per riuscire a mantenere viva quella bellezza in cui sono immersi e di cui sono portatori. “Per forza vengono in Italia”, spiega ad Affaritaliani Angelo, veterinario di origini bolognesi trasferitosi in UK per lavoro, “qui non c’è il nostro vivere quotidiano, non parlo neanche di clima e bellezza, non c’è neanche la socialità in cui sono cresciuto. Non vi rendete conto, nessuno osa mettere neanche la mano sulla spalla a qualcun altro. Al massino, con il grigiore in cui si vive, si va nei fine settimana al pub a sbronzarsi. E poi il nostro cibo, il vino, l’olio che è eccezionale”.
L’olio appunto, un’alimento che in Italia può diventare sublime.
Numerose ricerche cliniche hanno dimostrato che l'idrossitirosolo dell’olio extravergine può rigenerare le cellule umane. Negli Stati Uniti sull'olio italiano viene attaccata la targhetta che lo indica come alimento che fa bene alla salute, noi non lo facciamo. La condizione dell’olio è forse un sintomo di come arranchiamo. L’Italia ha una gamma di oli che il mondo ci invidia, eccellenze dal punto di vista qualitativo che le star vengono a produrre e vendere al prezzo che meritano. Ma non sempre la produzione popolare è extravergine.
Nel 2019 però, dopo l’enoturismo, è nato l’oleoturismo, con una legge voluta dal parlamentare Dario Stefàno. Permette di visitare uliveti e frantoi, degustare l’ultra qualità oleifera, viaggiare tra le produzione, conoscere la cultura dei territori circostanti, l’arte millenaria che ci sta dietro e quella dei territori con l’architettura, la storia, le tradizioni, il bello e la gente che ci vive, disciplinando tutte le attività. Potrebbe diventare un volano per coloro che vogliono far diventare questo racconto dell’Italia di qualità un’attività, possidenti o meno.
Siamo a metà del 2023 e solo 4 regioni (Toscana, Veneto, Liguria, Puglia) hanno adottato la norma. Le Marche lo stanno per fare ma nelle bozze dicono che basta un terreno con ulivi ed essere imprenditori agricoli per fare oleoturismo, anche se poi si produce sansa. Chi ha un sapere intorno all’ulivo non può, compresi i degustatori professionisti, anche quelli formati dallo stesso ente. “Abbiamo proposto delle modifiche e speriamo la Regione le accolga”, dice ad Affaritaliani Giorgio Sorcinelli, segretario nazionale di OLEA, associazione di assaggiatori professionisti “ora c’è a livello internazionale un movimento contro l’Italia, i nostri prodotti, la nostra terra. Mi auguro che i nuovi governanti facciano delle cose concrete, valorizzando chi produce e lavora nella qualità italiana. Faccio un solo esempio: abbiamo un olio incredibile ma l’Italia non ha un politica olivicola nazionale. Neanche oggi. So che si sta muovendo qualcosa ma quando arriverà?”. Mentre aspettiamo speriamo di non esserci estinti.