"Difende i gay, troviamo qualcuno che se lo inculi". Zaki racconta le torture
L'attivista svela dettagli inediti sulla sua carcerazione in Egitto e ritratta su Hamas: "Non ho nulla a che fare con loro"
Patrick Zaki su Hamas cambia linea: "Sono di sinistra e per la Palesina ma non un integralista islamico"
Patrick Zaki ritratta su Hamas e svela retroscena inediti sulla sua carcerazione in Egitto e sulle torture subite quando era in prigione, raccontando dettagli inediti sui metodi degli interrogatori per farlo cedere. "Io non ho nulla a che fare con Hamas! Sono cristiano e sono di sinistra, non sono un integralista islamico. In Egitto - racconta l'attivista egiziano ad Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera - quelli come me vengono uccisi dagli integralisti islamici. Nel 2014 raccolsi aiuti umanitari per Gaza ma mi dissero che era meglio che non andassi a portarli, perché non sarei stato il benvenuto. Io sono per la Palestina, non per Hamas. E spero che tutti gli ostaggi siano liberati. Tutti, a cominciare dagli italiani. Non dimentico che l’Italia si è battuta per la mia libertà".
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Zaki torna poi sulla sua cattura e la prigionia svelando fatti inediti e brutali. "Quando mi hanno arrestato, mi hanno strappato il permesso per l'Italia, mi hanno rotto gli occhiali. Mi hanno insultato. E hanno iniziato a picchiarmi". "Calci, pugni, botte sulla schiena. E minacce: "Non uscirai fuori di qui", “non vedrai mai più la luce del sole". Io - prosegue Zaki a il Corriere - sono rimasto concentrato. Sapevo come comportarmi: non dovevo mostrarmi debole. Se li facevo arrabbiare, meglio. Se capivano che avevo paura, era la fine. Gli interrogatori sono brevi. Ti sballottano di continuo dentro e fuori la cella; e in ogni cella c’è sempre una spia della polizia. Le domande sono sempre le stesse: davvero vuoi farci credere che eri a Bologna solo per un master? Perché parli male dell’Egitto? Poi ti mostrano le foto degli oppositori del regime: li conosci? Vogliono sfiancarti. Per questo rispondevo a monosillabi".
Zaki entra ancora di più nel dettaglio: "Mi hanno bendato, ammanettato, caricato su un furgone. Essere bendati, non avere il controllo del proprio corpo, è terribile. Dagli odori ho capito che mi portavano nel carcere di Mansura, la mia città. Lì c’erano il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, che mi ha fatto togliere i vestiti, dicendo: "Patrick difende i gay, dobbiamo portargli qualcuno che se lo inculi. I poliziotti mi facevano in faccia il verso del maiale, come si usa da noi per manifestare disprezzo. Ma la cosa che mi ha fatto più male è un'altra. Il ragazzo che portava i caffè mi ha dato una gran botta sulla schiena con il vassoio. Ancora mi chiedo perché lo abbia fatto. Non era un poliziotto. Non gli avevo fatto nulla di male. Se un giorno in Egitto faremo la rivoluzione, cercherò quell'uomo solo per chiedergli il perché".