Pensioni, chi ci va più tardi vive meglio e più a lungo. Ecco perché

Lo studio pubblicato su Cdc Preventing Chronic Disease non lascia dubbi sui benefici di tale scelta

di Redazione Economia
(foto Ipa)
Cronache

Pensioni, "andarci più tardi fa vivere più a lungo e meglio". Ecco perchè

Ritardare il pensionamento è vantaggioso, e favorisce la salute: a dirlo è uno studio pubblicato su Cdc Preventing Chronic Disease, che è stato ripreso dalla giornalista televisiva Milena Gabanelli nella rubrica Dataroom del Corriere della Sera. Questo nonostante gli italiani manifestino il desiderio di andare in pensione in anticipo.

Lo scientifico è stato condotto su un campione di 83.000 individui e indica che ritardare l’uscita dal mondo del lavoro può contribuire a contrastare l’invecchiamento cognitivo e l’isolamento sociale. Secondo la ricerca, escludendo i lavori usuranti, quando si entra in età pensionabile sarebbe saggio pensarci due volte prima di abbandonare definitivamente il proprio mestiere. Secondo i dati dell’Ocse, in media gli italiani trascorrono 24 anni in pensione, e un’analisi condotta da Bloomberg ha rivelato che tra i 16 e i 18 anni trascorrono in buona salute. Godere di una vita longeva è sicuramente un dato positivo, ma rappresenta anche una sfida. L’Italia è attualmente il Paese più anziano d’Europa, con un’età media di 48 anni rispetto ai 44,4 dell’Unione Europea. La popolazione degli italiani sopra i 65 anni ha superato i 14 milioni di individui, corrispondenti al 24% dell’intera popolazione, e secondo le proiezioni dell’Istat, nel 2050 raggiungeranno quota 20 milioni, ovvero il 34,9% della popolazione.

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La sfida che si presenta, poi, è come mantenere il tenore di vita attuale ed evitare aumenti insostenibili della spesa sociale. Tra le strategie più innovative adottate negli ultimi anni da Paesi con caratteristiche demografiche simili alla nostra, vi è il contrasto alle misure che incentivano l’uscita anticipata dal mercato del lavoro (come ad esempio la Quota 100-103) e la promozione dell’occupazione per gli individui oltre i 65 anni. Queste misure hanno l’obiettivo di favorire una maggiore partecipazione lavorativa degli anziani, garantendo così una maggiore sostenibilità economica e sociale.

Restare a lavoro oltre i 65 anni toglie lavoro ai giovani e non garantisce il turnover generazionale. Così è stato ripetuto più volte in passato da diversi esponenti politici, ma secondo lo studio non è così. Osservando le statistiche, sembrerebbe che la situazione sia contraria a questa convinzione. Infatti, nei Paesi in cui vi è una maggiore occupazione tra gli individui sopra i 65 anni, la disoccupazione giovanile risulta essere inferiore. Ad esempio, in Giappone e in Corea, la disoccupazione giovanile si attesta tra il 4% e l’8%, negli Stati Uniti raggiunge il 7,5%. D’altra parte, nei Paesi in cui l’occupazione tra gli anziani è ridotta, la percentuale di giovani senza lavoro supera la doppia cifra: il 17% in Francia, il 22% in Italia, il 29% in Grecia e in Spagna.

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