Scuola, la rivolta degli studenti: nel mirino dad, Pnrr, governo e sindacati

L'intervista di Affari: "Dare vita a un nuovo '68? Magari, ma allora c'era accordo coi sindacati, mentre oggi abbiamo idee molto diverse"

Di Lorenzo Zacchetti
Cronache
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Intervista alla rappresentante del Collettivo Politico Manzoni/Quello di Milano è solo un inizio: la protesta è rivolta alle scelte nazionali. E non solo del governo...

A Milano, il Liceo Classico Manzoni rappresenta un’istituzione, fin dal lontano 1865. Oltre al prestigio storico e formativo, è ben conosciuto anche per il notevole attivismo politico da parte degli studenti e delle studentesse che lo frequentano. Il primo giorno di lezioni di questo 2022 rinnova tale tradizione, con un’occupazione che sta facendo discutere in tutta Italia, anche per il “rumore” suscitato dalla presa di posizione a favore dell’obbligo vaccinale. Eppure, le istanze dei liceali vanno ben oltre questo aspetto, che nemmeno era nell’agenda iniziale. Affari Italiani ne ha parlato con Chiara, che fa parte del Collettivo Politico Manzoni, e la quale ci ha illustrato un movimento in grande fermento, come da tempo non si riscontrava. Un movimento che non ha certo intenzione di fermarsi alla singola scuola e nemmeno al capoluogo lombardo, bensì vuole portare avanti una battaglia di carattere nazionale, senza alcun tipo di remore. Nel mirino di questi giovani attivisti non c’è “solo” la dad, ma anche le scelte del governo in campo economico, compreso il tanto decantato Pnrr. C’è davvero la possibilità che inizi un nuovo Sessantotto? A quell’epoca studenti e operai marciavano a braccetto, mentre oggi il rapporto con i sindacati è molto più critico. Ma procediamo con ordine.

Se il vostro obiettivo era far discutere, con la vostra posizione sull’obbligo vaccinale avete davvero fatto centro: come stanno le cose?

“Non è esattamente come molti giornali l’hanno riportata e stiamo cercando di chiarirlo. Noi siamo favorevoli all’obbligo vaccinale e quando ci è stato chiesto lo abbiamo detto chiaramente, ma non è per questo che siamo qui. L’obbligo vaccinale non rientra nemmeno nelle motivazioni della nostra occupazione”.

Quali sono, allora, le motivazioni della vostra protesta?

“Chiediamo una gestione della pandemia più mirata, che non faccia saltare ne’ il sistema sanitario, ne’ quello scolastico. Le nostre rivendicazioni sono legate a strascichi della fase vissuta in didattica a distanza, che solo ora si stanno manifestando, e che i professori non tengono in considerazione. Questo ci causa malessere e stress, ragioni che ci hanno portati ad occupare la nostra scuola. Siamo qui per denunciare lo stress connesso al ritorno in presenza, fin dallo scorso settembre”.

Quali sono gli aspetti che non vengono presi in considerazione?

“In primo luogo gli aspetti psicologici, ma anche quelli didattici. Non viene adeguatamente considerato l’impatto che questi due anni di pandemia ha avuto su di noi, anche sul piano dell’apprendimento: i due anni di dad non hanno sostituito adeguatamente le lezioni tradizionali e siamo consci di avere delle grosse lacune. Invece i professori non ci badano e oggi veniamo valutati come se nulla fosse, perché si fa la corsa al programma e al voto nelle singole materie. Così però si tralascia una questione per noi essenziale: la dad è come se non fosse mai stata fatta, da un certo punto di vista”.

La dad però è alle spalle, visto che si è deciso di tornare in presenza. Cosa continua a non funzionare, in questa fase?

“Il ritorno in presenza avrebbe potuto essere un’opportunità per mettere al primo posto il benessere psicofisico di studenti e studentesse e non le valutazioni su quanto si è appresa o meno una certa nozione. Si sarebbe potuto anche cambiare questo insegnamento frontale e nozionistico. Nulla di tutto questo è stato fatto. Si è preferito andare avanti con il paraocchi, ignorando problematiche evidenti”.

Il rientro alla didattica in presenza, nonostante il dilagare dei contagi, è stato oggetto di forti discussioni: voi che opinione avete in merito?

“Siamo ovviamente molto felici di essere tornati in presenza e del fatto che il governo stia cercando di tenerci fisicamente in classe. L’autonomia scolastica permette ad alcuni istituti di fare scelte diverse, ma il Liceo Manzoni non sembra orientato a ricorrere alla dad. Anche questo ci rende contenti, speriamo però che la linea sia coerente e non come l’anno scorso, quando ci fu una continua alternanza tra aperture e chiusure”.

Quindi siete soddisfatti delle scelte del governo?

“Beh, di quella sul ritorno alla didattica in presenza sì, ma altre scelte sono ben più discutibili! Ad esempio non c’è piaciuta l’eliminazione del bonus per l’aiuto psicologico, visto che abbiamo parlato di malessere psicologico. Nella legge di bilancio hanno trovato soldi per dare bonus per i rubinetti, i monopattini e le terme, ma è stato tolto quello per lo psicologo! Critichiamo anche il Pnrr, nel quale vengono stanziati sette miliardi per fare il Giubileo, mentre non si sono trovati 50 milioni per la psicologia. Più in generale, la cosa che ci preme denunciare è la gestione della pandemia fatta in questi due anni dal governo, sia a livello scolastico che sanitario”.

Cosa contestate di questa gestione?

“Abbiamo già avuto modo di criticare la dad, motivo per il quale anche lo scorso anno abbiamo occupato il liceo. Più in generale c’è stata una chiara noncuranza per l’ambito scolastico, che si è manifestata in comunicazioni date solo all’ultimo momento: scoprivamo soltanto di domenica se il giorno dopo dovevamo andare a scuola oppure no. La scuola è stata la prima ad essere chiusa e l’ultima ad aprire. Non è mai stato messo al centro delle riflessioni il fatto che la scuola in presenza sia una necessità, per la quale la dad non può essere considerata un’alternativa. E lo stesso sta succedendo ancora in questa fase. Questo è l’aspetto principale che critichiamo, che ovviamente va ad aggiungersi a una costellazione di decisioni molto discutibili anche su altri ambiti, come quando si è scelto di tenere i negozi aperti e le scuole chiuse”.

Queste rivendicazioni sono solamente vostre oppure esiste una rete tra gli studenti?

“Quella in corso è una mobilitazione cittadina, vedremo se diventerà anche nazionale. Per questo venerdì, a fine occupazione, faremo un’assemblea dei collettivi con le rappresentanze di tutte le scuole di Milano. Insieme discuteremo di come dare una continuità a questo percorso, le cui rivendicazioni sono comuni. E lo stesso vale per le intenzioni: vogliamo strutturarci in maniera molto più ampia”.

Sarebbe davvero una grossa novità, perché da tempo gli studenti non si mobilitavano in maniera così forte su temi politici e sociali. Il Covid sta forse stimolando la nascita di un nuovo Sessantotto? Che effetto vi fa questa suggestione?

“Beh, il parallelo col Sessantotto è una cosa un po’ forte, ma di sicuro la partecipazione alle mobilitazioni sta crescendo rispetto allo scorso anno, in tutta Milano e anche in tutta Italia. Nel Sessantotto c’era un’unione tra studenti e operai che al momento è inesistente, purtroppo. Ciò è dovuto anche e soprattutto al fatto che abbiamo idee contrastanti su chi rappresenta effettivamente i lavoratori. Questo è un notevole problema”.

Quindi, vi piacerebbe dare vita a un nuovo Sessantotto, ma coi sindacati non c’è lo stesso feeling che esisteva allora: ho capito bene?

“Fatico a pensare che gli interessi dei lavoratori siano rappresentati da Maurizio Landini, ma questa è un’opinione personale e non è mai stato un argomento del quale abbiamo discusso come gruppo… sebbene pensi che sia un parere piuttosto condiviso”.

 

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