Suicidio Iulm, Raina (Il Collegio): "Per molti, la scuola è tutta la vita"
"Il paradosso è che ormai nessuno crede più nella scuola, eppure vi si riversano aspettative altissime, perché i giovani non hanno altre gratificazioni"
"Continuano a fare riforme della scuola... e poi mancano gli psicologi!"
“Fallimenti personali e nello studio”. È questa la tragica spiegazione, affidata a un biglietto d'addio, del suicidio della studentessa 19enne che si è impiccata in un bagno dello Iulm, nota università privata milanese. Casi del genere sono sempre più frequenti, specialmente nel post-Covid, e quindi è necessario porsi delle domande sulla scuola e sulla qualità dell'esperienza didattica e sociale dei nostri ragazzi. Affaritaliani.it le ha rivolte all'insegnante più famoso d'Italia: Luca Raina, diventato una celebrità grazie al docu-reality “Il Collegio”, che da ben sette edizioni registra ascolti-monstre sulla Rai, ma che fa l'insegnante anche nella vita reale.
Cosa sta succedendo agli studenti e ai ragazzi in genere? Come spiega questa loro crescente fragilità?
“Il tema è molto interessante. Viviamo nel mondo dell'immagine, nel quale apparire performanti, belli, atletici e prestanti si ripercuote sulla qualità complessiva della nostra vita. Quasi tutti abbiamo dei canali social, ma raramente li usiamo per postare momenti di tristezza e sconforto. Tendiamo a dare di noi un'immagine sempre positiva, ma quando quell'immagine pubblica non si rispecchia con la realtà, iniziano ad aprirsi delle crepe. E queste crepe in adolescenza possono essere delle voragini”.
Le compagne di corso della studentessa suicida hanno scritto una lettera che mette i brividi, nella quale si legge: “Ci insegnano che il nostro valore dipende dai voti. Questo sistema continuerà ad uccidere”. Cosa si può dire a uno studente in crisi per fargli capire che un fallimento non deve abbatterlo?
“Il problema non è tanto cosa dire, ma cosa fare. Esistono percorsi di recupero? Esiste lo psicologo a scuola? E, quando lo psicologo c'è, è una figura di sistema o una aggiuntiva che i presidi devono in qualche modo raccattare con dei fondi che non si capisce se vengano dal Comune, dalla Regione, dallo Stato o dalla cassa della scuola stessa? Se ho un'equipe in grado di gestire questi problemi, ho la possibilità di risolverli e prevenirli, altrimenti è inevitabile che si verifichino”.
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Il voto è uno strumento di misurazione: è corretto usarlo per capire a che punto è la preparazione degli studenti o sarebbe meglio avere giudizi più complessivi?
“La scuola italiana già valuta vari aspetti, ma fondamentalmente si esprime attraverso i voti. Su questo poi giocano vari fattori, dalla fragilità emotiva al tipo di insegnanti che ci si trova di fronte. E poi c'è un paradosso: nella scuola ormai non crede più nessuno, però vi si riversano enormi aspettative! Questo perché per molti ragazzi è l'unico ambito sociale, visto che ci passano la maggior parte della loro giornata. La loro vita è la scuola: se non hanno altre gratificazioni (ad esempio dallo sport, in famiglia o in campo affettivo), è comprensibile che una delusione scolastica possa abbatterli molto”.
Giustamente accennava al ruolo degli insegnanti: ce ne sono sempre di meno e per tappare il buco si prendono anche professionisti che non hanno una preparazione pedagogica. Come influisce questo sulla qualità della scuola?
“Lo spiegherei con una metafora calcistica. È come se io fossi il presidente di una squadra che da anni ha debiti mostruosi e quindi svende i propri campioni, senza investire in sostituti all'altezza, chiede ai propri giocatori di rinunciare agli stipendi, nasconde le carenze ed eppure continua a dichiarare di voler vincere lo scudetto. E, visto che non ci riesce, ogni anno cambia tattica, cambiando anche l'allenatore”.
Ogni riferimento alle vorticose riforme della scuola...
“...è puramente intenzionale! Magari qualche contenuto di tali riforme era pure azzeccato, ma se ogni anno se ne fa una diversa, si crea una confusione pazzesca. Pensi quanto sia bello fare l'insegnante in queste condizioni! Non è una missione o una vocazione, al limite è giusto parlare di predisposizione, ma questo vale per tutti i mestieri e quindi anche agli insegnanti servono gratificazioni e riconoscimenti, non solo economici. Altrimenti si svaluta la professione. Quindi non stupisce che a insegnare siano sempre più spesso persone che avrebbero desiderato altro, ma non trovano nulla di meglio. Come direbbe 'il noto filosofo' Checco Zalone, si punta al posto fisso, perché preferiamo una calma placida ad un movimentato subbuglio”.
L'enorme successo del format “Il Collegio” (basato sul britannico “That'll Teach 'Em”) ruota intorno alla scuola del passato, anche un po' mitizzandola. E in quegli anni i voti e i comportamenti erano molto più severi di oggi. Come si lega questo, con i fatti di cui stiamo parlando?
“È molto difficile paragonare una ricostruzione storica alla vita vera. Per quanto 'Il Collegio' sia una ricostruzione curata e fedele della scuola del passato, è comunque un docu-reality, ovvero una trasmissione televisiva che ha ben altri scopi e non la trasmissione di valori educativi e formativi. Quantomeno non sulla scuola. Poi magari tenta di trasmetterne altri, ma non certo di tipo scolastico. Infatti in ogni puntata i contenuti didattici occupano una piccola parte, rispetto al vissuto emozionale e alle storie di vita dei ragazzi. È una trasmissione che crea situazioni raccontabili, inoltre quello che vedete in tv è solo una piccola parte di una vita comunitaria e ovviamente la selezione e il montaggio influiscono in maniera decisiva sullo storytelling”.
Lei insegna lettere, storia e geografia in una scuola media, della quale ora è anche vicepreside: come hanno reagito i suoi studenti alla sua improvvisa popolarità televisiva?
“All'inizio ne sono rimasti stupiti, ma poi hanno capito che la tv non è il mio lavoro, bensì una cosa che faccio in più. Ne sono incuriositi, guardano la trasmissione, ma sono i primi a capire che anche io ne 'Il Collegio' svolgo un ruolo e quindi sono diverso da come sono in classe con loro. Sono professionalità differenti”.
Oggi la scuola soffre le difficoltà che lei ha ben descritto, ma quella del passato era davvero migliore? Il successo de “Il Collegio” ha a che fare anche con la nostalgia verso un'epoca meno problematica?
“Da sempre c'è una querelle tra passatisti e modernisti, con i primi che sostengono che una volta tutto fosse meglio, dai treni che arrivavano in orario alla scuola che funzionava davvero, ma c'è molta retorica in questo. Dire che la scuola di un tempo funzionava meglio di quella di oggi è chiaramente una forzatura. Non si possono mettere a confronto epoche storiche diverse. E' cambiato tutto: il 'peso sociale' della scuola, le attese delle famiglie e soprattutto il contesto socio-economico del Paese, che da allora ad oggi presenta un enorme divario”.