Il Colibrì e l'epopea della borghesia italiana: Nanni Moretti torna a recitare
"Il Colibrì", tratto da un romanzo di Sandro Veronesi, è il nuovo film di Francesca Archibugi uscito da circa una settimana nelle sale
Colibrì, Nanni Moretti e Francesca Archibugi raccontano "con tenerezza e pietà" la borghesia italiana di sinistra. Trama e analisi
È da circa una settimana nelle sale il nuovo film di Francesca Archibugi, “Il Colibrì”, tratto da un romanzo di Sandro Veronesi (edito da La Nave di Teseo) che ha vinto il premio Strega nel 2020.
La trama si inserisce in quella epopea che è il ciclo della borghesia italiana spesso raccontata sia dall’Archibugi che dallo stesso Moretti che questa volta torna, per la sesta volta, al suo ruolo di attore. Il protagonista è Marco Carrera (interpretato da Pierfrancesco Favino) che è appunto “il Colibrì” del titolo. L’intervallo temporale degli eventi narrati va dall’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo ad un’epoca, proiettata nel futuro intorno al 2030, quindi prossimo ai nostri tempi.
Si tratta di una storia che si sviluppa sul registro dei ricordi che fa da impalcatura allo sviluppo degli eventi. I fatti narrati non sono eventi eccezionali, ma si tratta di eventi che accadono ogni giorno in vite sostanzialmente normali di un uomo borghese.
Marco conosce al mare la bellissima Luisa Lattes (Bérenice Bèjo), entrambi ragazzini, e se ne innamora perdutamente. Lei sarà poi l’amore non consumato -ma sempre presente- della sua vita. A Roma si sposerà invece con Marina (Kasia Smutniak) e dalla coppia nascerà una figlia, dal nome evocativo di Adele (Benedetta Porcaroli). A quel punto altre vicende, coincidenze, percorsi impressi, traiettorie esistenziali, malesseri psicologici lo condurranno nel grande Luna Park della vita, in un ottovolante ideale di emozioni e di sensazioni.
La figura archetipale di guida sarà uno psicanalista (che è lo stesso della moglie), Daniele Carradori, interpretato da Nanni Moretti, che cercherà di fare attingere a Marco le energie primordiali della vita, le forze ctonie e numinose che alla fine gli permetteranno di resistere agli eventi e cercare, nel limite del possibile, di guidarli se non proprio di dominarli.
Moretti ha dichiarato a proposito della Archibugi: “È la sesta volta che lei mi chiedeva di interpretare un ruolo e a un certo punto ho voluto dire sì. È bello stare solo in scena”. “Il Colibrì” ha aperto la rassegna del Cinema di Roma (un mese prima era stato proiettato a Toronto) e l’uscita di un film in cui c’è Moretti o come regista o come attore è sempre alla fine un evento in sé.
L’Archibugi ha invece replicato: “Mi è costato dieci pranzi prima di convincerlo a recitare”. "Qui si racconta la borghesia con tenerezza e pietà", dice Favino. In effetti Moretti e l’Archibugi sono i cantori moderni della borghesia, anche se questa volta non è trattata impietosamente come negli altri film.
Da notare la presenza anche di Laura Morante nel ruolo di Letizia, la madre del Colibrì Favino. I film di Moretti, della Archibugi e anche della Morante si sono sempre sviluppati in luoghi particolari, spesso a Roma. Una Roma però suggestiva e mitizzata, quella dei villini di Monteverde Vecchio dove ancora vive Nanni Moretti o quelli di Roma Nord, ai Parioli, a Prati. Anche questo si svolge principalmente nella capitale, ma anche a Firenze, sulla costa toscana e a Parigi.
Monteverde Vecchio è uno dei quartieri più belli di Roma. I suoi caratteristici villini si susseguono in un paesaggio di verdi pastelli e gialli autunnali fino a Villa Sciarra, un parco dove “vivono” inquietanti statue e da cui si può scorgere un panorama mozzafiato della città dall’alto, visto che ci troviamo al Gianicolo. I villini furono frutto del nuovo piano regolatore del sindaco Ernesto Nathan nel 1909.Villini multipiano, dalle forti influenze liberty, che fanno spesso da sfondo a molti film.
Una Roma, e quindi una borghesia, fatta di caffè gustati ai tavolini sotto meravigliosi fiori azzurrini, di dolcezze e leccornie al cioccolato, di caffellatte e cappuccini, di qualche amaro dal colore arancione che riflette i raggi del sole. È una Roma, quella del regista e dell’attore, che è un palcoscenico naturale per celebrare il rito della borghesia di sinistra, colta ed evoluta, ma che rischia il marchio del radical –chic.
Eppure sono luoghi consolatori, in cui le struggenti atmosfere del tramonto (si veda il film “Verso sera” e “Mignon è partita”, sempre dell’Archibugi) si scatenano implacabili provocando strane angosce che si compenetrano con l’ambiente architettonico, con il gusto della citazione latina come proverbio sui muri delle case. In questo caso la consonanza con il libro di Veronesi è forte e l’opera stessa è praticamente già un soggetto che si offre al regista abbastanza naturalmente. Forse con il passare dell’età la rabbia generazionale si assopisce e la narrazione si fa più dolce. È bello –sembrano dire la regista e l’attore- essere borghesi e romani.