Bene il governo sul lavoro, ma ora serve alzare i salari, abbattere l'evasione e aumentare la produttività

L’Italia offre stipendi più bassi della media dei principali Paesi europei

Economia

Lavoro, non basta un decreto


 

Quinto posto in una classifica in cui sarebbe meglio collocarsi nelle retrovie: su 38 Stati dell’area Ocse, il Belpaese ne ha solo quattro davanti quando si parla di prelievo fiscale tra imposte sul reddito e contributi. Non c’è che dire, nulla di cui andare fieri. E il governo, giustamente, prova a intervenire. Il ministro Giorgetti annuncia 100 euro in busta paga, ma il rischio è che si tratti ancora una volta di un palliativo. Certo, da qualche parte bisogna iniziare, ma la verità è che senza un intervento concreto, pesante, aggressivo sull’evasione fiscale gli spazi di manovra rimarranno molto risicati.

Immaginiamo di avere ogni anno una tassa occulta intorno al 10% del pil che va in fumo per colpa del lavoretto affidato al parente alla lontana in nero o perché “senza fattura risparmia qualcosina”. Il governo ha sempre dichiarato che il modo migliore per evitare il “nero” fosse quello di abbassare le tasse, rendendo più vantaggioso l’essere in regola e, al tempo stesso, accrescendo le sanzioni per chi sgarra.

Si vedrà. Il tempo è galantuomo e se l’esecutivo – che gode di una delle maggioranze più ampie della storia recente – saprà tenere fede alle sue promesse avremo tutti da guadagnare. Rimane il fatto che l’Italia offre stipendi più bassi della media dei principali Paesi europei (Germania e Francia su tutti) a fronte di un costo della vita equiparabile. A Berlino, ad esempio, il prezzo al metro quadro delle case nel quartiere di Dahlem è di poco superiore ai 7.100 euro, mentre a Milano, nel centro, e a maggior ragione nel Quadrilatero, si superano tranquillamente i 10.000 euro.

Di più: in Italia viviamo la straordinaria doppia anomalia dei 30-49enni che vedono calare il loro potere d’acquisto con il passare degli anni e i Millennials che saranno la prima generazione dal Dopoguerra a guadagnare meno dei loro genitori. Insomma, in questa giornata dedicata al lavoro ci si ricordi che va ridata dignità al mestiere. E che abbassare le tasse è straordinario ma deve accompagnarsi a un incremento dei salari e a una riduzione dell’evasione fiscale. Tre gambe che permettono al Paese, grazie anche ai fondi europei e a una crescita superiore alle attese, di “sorprendere” i concorrenti storici Germania e Francia.

Chiosa finale sulla qualità del lavoro. Mentre si discute di settimana corta, di riduzione dell’orario d’impiego e di altri temi interessanti, bisognerebbe anche incentivare un lavoro qualitativamente migliore. Il grande problema dell’Italia, oltre al gigantesco debito pubblico, è la bassa produttività, ovvero la scarsa capacità di crescere. Secondo le elaborazioni dell’Ufficio Studi di Confindustria Udine su dati Eurostat, dalla crisi del 2008 ad oggi, il divario di crescita della produttività, intesa come valore del Pil per ora lavorata, tra l’Italia e i principali paesi europei si è ulteriormente ampliato.

In particolare, tra il 2010 e il 2019 la produttività italiana è aumentata solo di 1,2 punti percentuali, a fronte di un incremento di 8,6 punti in Germania e Francia e di 7,8 in Spagna e nell’Area Euro. I motivi sono molteplici. Uno di questi è sicuramente che le imprese investono poco in ricerca e sviluppo: in media l’1,7% del pil contro il 3% della Germania e il 2,2% della Francia.

Non solo: abbiamo un’enorme carenza per quanto concerne la formazione. Nel 2021 era il 62,7% dei 25-64enni ad avere almeno un diploma di scuola secondaria superiore in Italia, contro il 79,3% della media UE27. Il differenziale con alcuni Paesi di riferimento è ancora più netto: ne è un esempio l’84,8% della Germania e l’82,2% della Francia. Per quanto riguarda l’università, tra i cittadini italiani tra i 25 e i 64 anni la percentuale di laureati crolla al 20%, risultando anche in questo caso più bassa della media europea (33,4%). Corrispondendo, inoltre, circa alla metà di quella registrata in Francia e Spagna (40,7% in entrambi i Paesi).

Ecco allora che un quadro più composito inizia a prendere forma: lavorare meglio, aumentando il famoso valore aggiunto, accrescendo i salari, riducendo le tasse e abbattendo l’evasione fiscale. Un circolo virtuoso bellissimo. E realizzabile?

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