Ftx, class action da 11 miliardi. Ma è il paradigma cripto ad agonizzare

La Silicon Valley, l'idea che si possa crescere all'infinito senza sosta, è entrata in crisi definitivamente

di Marco Scotti
Sam Bankman Fried
Economia

Criptovalute, in crisi  l'intero paradigma

È la domanda da un milione (o miliardo) di dollari: le criptovalute sono un fenomeno passeggero? Una moda di nerd brufolosi che hanno, per una volta, raggiunto un obiettivo quasi impossibile – un po’ come per lo sfigatone di turno che riesce nell’impresa di approcciare la più bella della scuola – salvo poi accorgersi che sì, era tutto un bluff? Oppure sono una nuova modalità di intendere la finanza, gli investimenti e il concetto stesso di denaro? È intorno a queste domande che negli ultimi giorni si è concentrato il dibattito.

Partendo, come sempre, dai numeri: 65%, cioè il calo di valore del Bitcoin dall’inizio dell’anno; 11, come i miliardi di class action che i consumatori americani sarebbero pronti a intentare nell’ambito della controversa vicenda di Ftx e del suo vulcanico, eccentrico, nerdissimo fondatore Sam Bankman-Fried. Il quale ha bruciato quasi interamente il suo patrimonio da circa 30 miliardi ed è ora irreperibile, probabilmente nascosto alle Bahamas. Partiamo dalla criptovaluta per antonomasia: è la prima volta che si deprezza così rapidamente? No, per nulla. L’attuale valutazione intorno ai 15.600 dollari è in fin dei conti in linea con quella di due anni fa.

Ma nel frattempo è successo di tutto: Elon Musk si era addirittura detto pronto ad accettare le criptovalute come strumento di pagamento per le Tesla. Generando una bolla che aveva prima lanciato verso i 60.000 dollari la valutazione del Bitcoin e poi era implosa facendo scendere il valore di oltre il 30%. Nel mezzo questi strumenti di pagamento, inizialmente destinati a una ristretta cerchia di utenti – tant’è che vennero creati per pagare una pizza, come vuole la leggenda - avevano iniziato a diventare di massa. Piattaforme su cui fare trading; colossi come Goldman Sachs e JpMorgan che mettevano piccole (per loro) somme per esplorare il fenomeno; Fed e Bce che iniziavano a interrogarsi sull’opportunità di regolamentare il sistema, non capendo che proprio le regole avrebbero reso inoffensiva la criptovaluta, ma anche inutile.

Sì, perché il fine ultimo di una moneta alternativa a quelle tradizionali è proprio quella di allontanarsi dalle norme tradizionali. È un caso che gli ultimi riscatti informatici abbiano richiesto il pagamento delle cifre proprio in Bitcoin? Stupisce che la criminalità organizzata abbia da tempo messo le mani su questi strumenti quantomeno opachi? No, ovviamente, non stupisce.

Il tracollo di Ftx, dicevamo, rappresenta però un evento spartiacque, e infatti si teme che il panico si scateni, con conseguente corsa agli sportelli per rastrellare i depositi. È la Lehman Brothers delle criptovalute, perché mostra che il re è nudo e che non c’è più niente da raccontare. Di più: è l’intero paradigma della Silicon Valley – come dimostrano i vari casi Theranos, Meta, Twitter, Stripe e via dicendo – a essere messo in crisi. Quel pensiero, un po’ corsaro un po’ naif, per cui le aziende che non vendono beni possano crescere all’infinito si è schiantato al suolo quando ci si è accorti che una fetta consistente della popolazione, che fatica a trovare acqua potabile e cibo non avariato, non ha alcuna intenzione di aprire un account per incontrare gli amici delle elementari o per lanciarsi in ridicoli balletti e pose da influencer.

La class action contro Ftx

Per Ftx si profila una grana ulteriore: una class action degli utenti (oltre un milione secondo le ultime stime) per un totale di 11 miliardi. Sotto attacco anche i molti volti noti, da Gisele Bundchen a Tom Brady, da Shaquille O’Neal a Stephen Curry, che si erano prestati a sponsorizzare la piattaforma e che ora vengono accusati – nella migliore delle ipotesi – di aver associato il proprio nome alla creatura di Sam Bankman-Fried con eccessiva facilità, allettati da compensi stratosferici. Stephen Curry, ad esempio, ha ricevuto un assegno da 10 milioni di dollari. Il che, anche per un multimilionario, rappresenta un gran bell’incentivo. 

Sempre i numeri certificano il tracollo di Ftx deve ai suoi 50 maggiori creditori almeno 3,1 miliardi di dollari. Lo scrive il Washington Post, citando nuovi documenti processuali. L'importo più alto da restituire è di 226 milioni di dollari. Ci sono anche 10 creditori che vantano crediti per almeno 100 milioni di dollari. Tra le società che hanno investito in Ftx BlackRock, Sequoia Capital, Tiger Global e il fondo pensionistico Ontario Teachers' Pension Plan. A riprova che le criptovalute sono decisamente pervasive all’interno del sistema finanziario, tanto da convincere i fondi pensioni a puntare su di loro. 

Tutti addosso alle criptovalute dunque? Non esattamente. Il miliardario Bill Ackman (patrimonio da oltre 3 miliardi di dollari) ha scritto un lungo post su Twitter in cui sostanzialmente sosteneva che le “cripto sono qui per restare”. “Il telefono, Internet e le criptovalute – ha scritto sul social oggi di proprietà di Elon Musk - condividono una cosa in comune. Ogni tecnologia migliora rispetto alla successiva in termini di capacità di facilitare le frodi. In quanto tale, inizialmente ero un cripto scettico, ma dopo aver studiato alcuni dei progetti crittografici più interessanti, sono arrivato a credere che la crittografia possa consentire la formazione di attività e tecnologie utili che prima non potevano essere create".

"La capacità di emettere un token per incentivare i partecipanti a un'impresa - si legge ancora nel post di Ackman - è una potente leva per accedere a una forza lavoro globale per portare avanti un progetto. Il problema con le criptovalute è che i promotori non etici possono creare token semplicemente per facilitare schemi di pump and dump. Potrebbe infatti essere che la stragrande maggioranza delle criptovalute venga utilizzata per scopi fraudolenti piuttosto che per costruire attività legittime. Nonostante la capacità delle criptovalute di facilitare le frodi, con il vantaggio di una regolamentazione e di una supervisione ragionevoli, il potenziale della tecnologia crittografica per un impatto sociale benefico potrebbe eventualmente essere paragonato all'impatto del telefono e di Internet sull'economia e sulla società”.

"Criptovalute, un nuovo asset con un vecchio problema"

Di contro, il Financial Times ha bollato l’intero mondo cripto come “un nuovo asset con un vecchio problema”, ovvero che quando si scatena il panico e la corsa a ritirare i depositi, non ci sono adeguate coperture e la struttura collassa. È successo nel 1929, è capitato nel 2008, quando la bolla dei mutui subprime si scontrò con colossi della finanza che avevano operato con leve decine di volte superiori al capitale realmente disponibile nelle casse. 

Infine, a remare contro il futuro dei bitcoin c’è anche la congiuntura economica difficilissima. Nell'attuale contesto di aumento dei costi energetici, infatti, il mining di Bitcoin risulta molto dispendioso, spingendo alcuni minatori a spegnere le loro macchine, a liquidare le riserve di criptovalute e a ricalibrare le loro strutture di costo con conseguenze per i volumi di trading. Il costo dell'energia per chilowattora (kWh) più basso rende il mining più redditizio e viceversa. Naturalmente, un prezzo del bitcoin più alto rende il mining più redditizio e viceversa. 

Insomma, gli elementi per il tracollo delle criptovalute ci sono tutti. Gli esperti sono ancora divisi: si tratta di un altro “inverno” come già successo negli anni scorsi o del crollo del paradigma stesso di una valuta alternativa, non regolamentata eppure efficace? La risposta a questa domanda può rappresentare non soltanto un esercizio retorico e un orientamento per gli investimenti, ma soprattutto significare la rottamazione di un intero paradigma. Una sfida epocale

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