Quiet quitting, lavorare meno per stare meglio: la nuova Great Resignation

Quiet quitting e mondo del lavoro: cos’è il fenomeno figlio dell’era della crisi post- Covid che ha marchiato il 2022

di Marta Barbera
Economia

Quiet quitting, la fase due della Great Resignation che “spaventa” il mondo del lavoro

Niente più straordinari, ore extra non retribuite e “giri dell’orologio” quotidiani. Lavorare solo lo stretto necessario, assumendo le responsabilità regolamentate dalle mansioni indicate sul contratto. Cercando di centrare due semplici obiettivi: allontanare sempre di più i rischi di burnout, trovando un giusto equilibrio tra vita privata e professionale. Un fenomeno che negli Stati Uniti prende il nome di “quiet quitting”, mentre in Italia viene tradotto come "abbandono silenzioso” (dal posto di lavoro). Un evento che ha "marchiato" il 2022 e ha tutto il potenziale per poter incidere sul quel cambio di paradigma vita-lavoro nel prossimo futuro. 

Che cos'è il quiet quitting

Ma, nel concreto, di che cosa si tratta? "L'abbandono silenzioso" è di fatto un modo nuovo di concepire l'attività lavorativa, non più legata solamente al "sacrificio" nel senso più stretto del termine, quanto alla realizzazione della propria sfera di benessere psico-fisica. Svolgere quindi le attività per le quali si è assunti, senza "eccedere" in compiti extra non pattuiti antecedentemente. Per alcuni non è altro che il frutto del fenomeno della Great Resignation, le grandi dimissioni di massa che hanno completamente stravolto il mondo del lavoro nell’anno post pandemico. Nel 2022 infatti, dalla ristorazione alla consulenza, dalle aziende famigliari alle grandi multinazionali, milioni di americani hanno deciso di rivoluzionare modo di vivere e pensare, e partendo proprio dalla loro seconda casa, ovvero l'ufficio, hanno lasciato posti di lavoro "sicuri" per piani B ancora in via di definizione, seguendo differenti priorità, tra le quali benessere fisico, salute mentale e flessibilità.

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Per altri invece il quiet quitting è qualcosa di più ampio: se da una parte è sì un fenomeno scaturito da una serie di crisi, come pandemia, lavoro precario e instabilità economica, dall'altro però ha tutto il potenziale per poter diventare un qualcosa di più strutturato, in grado di "sfidare i processi aziendali", poichè riflette "la scelta di eseguire il minimo indispensabile nel rigoroso rispetto delle proprie mansioni e del proprio orario di lavoro". Ovvero? Con il quiet quitting si compie una scelta meno di petto, più ragionata e ponderata: viene cioè meno "la predisposizione a dedicare completamente le proprie capacità, e il proprio tempo, alla mission dell’azienda e ad essere propositivi e partecipativi rispetto ai nuovi progetti, riducendo, anche in modo drastico, la disponibilità ad aderire ai valori aziendali". 

Nato su Tik Tok grazie all’hashtag #quietquitting, lanciato da un ingegnere ventenne di New York, Zaid Kahn, e diventato virale in poche settimane, con oltre 8 milioni di visualizzazioni, l'abbandono silenzioso ha trovato fin da subito il supporto di numerosi giovani e non, desiderosi di sorpassare l'ormai obsoleta retorica della cultura del lavoro che impone il "sacrificio a tutti i costi".  Da tendenza social ha assunto così forme più strutturate, diventando l'antidoto (sicuro) per curare lo stress e il burnout. Imponendo a sua volta un nuovo modello di lavoro: fare il necessario, non mischiarsi con i problemi aziendali, mettere la vita privata, e il suo equilibrio, in cima alle priorità. 

Quali sono le cause del quiet quitting 

Ma quali sono le cause che ci celano dietro il quiet quitting? In sintesi si potrebbero riassumere in quattro parole: pandemia, hustle culture, burnout e clima aziendale avverso. Per alcuni la pandemia è stato il "la"  che ha dato il via libera a una nuova riflessione su come vivere l'azienda, il lavoro, in sintonia con i propri hobby e la propria vita privata. Per altri ancora il quiet quitting è ciò che meglio rappresenta il polo opposto della hustle culture, il mito americano secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la propria vita al lavoro, tra le cause principali, appunto, di burnout. Ma non è tutto qui. Dietro al quiet quitting si potrebbe celare anche qualcosa di più interno e profondo. 

Secondo l'Harvard Business Review l’abbandono silenzioso non riguarda tanto i dipendenti quanto i datori di lavoro. Nello specifico, il quiet quitting non è tanto legato alla volontà dei dipendenti di lavorare di più o di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, quanto alla capacità di un manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio. Come sottolinea Forbes, secondo il report 2022 State of global workplace di Gallup, che ogni anno fornisce dati di vario tipo sul lavoro in giro per il mondo, solo il 14% dei dipendenti in Europa può essere ritenuto davvero coinvolto nella propria attività lavorativa. La tesi della Harvard Business Review è quindi chiara: la diffusione del fenomeno in questi mesi ha molto a che vedere con "un fallimento dei manager nel conciliare gli obiettivi aziendali col benessere individuale e collettivo dei propri dipendenti". 

Quiet quitting e burnout: quali sono i settori più colpiti

Ma in questo anno, segnato da una serie di crisi non indifferenti (dagli strascichi della pandemia, alla guerra in Ucraina fino all'emergenza energetica), quali sono stati i settori in cui il burnout è stato più evidente? Secondo una ricerca globale realizzata dal Workday- Addressing Burnout Risk in 2022, sul podio hanno spiccato: pubblica amministrazione, trasporti e manufatturiero. Solo nella prima area sei dipendenti su dieci hanno rischiato il burnout con un aumento del 16% dal 2021, mentre per la seconda posizione  il rialzo è stato del 10%. Anche a livello internazionale, il rischio di stress da lavoro è dilagato a macchia di leopardo con Regno Unito, Francia e Olanda al timone della classifica, rispettivamente con il 41%, il 39% e il 33%. Dietro di loro solo Norvegia e Danimarca

Quiet quitting, che cosa aspettarsi dal 2023 

In tale scenario, che cosa aspettarsi quindi dal 2023? Il quiet quitting, una minaccia o una possibilità per le aziende? La parola chiave da perseguire potrebbe essere una: fiducia. Premettendo che l’approccio adottato nel passato dai leader, per ottenere risultati dai dipendenti, non è più lo stesso da quello odierno, la grande sfida sarà quella di costruire nuovi ambienti di lavoro sempre più sicuri, inclusivi e positivi. Puntando a ricavare il meglio dalle proprie risorse. Per fare ciò è necessario però dare loro fiducia, creare sintonia, stimolare il team nel conseguimento di obiettivi comuni e di valore.  Sulla scia di quanto rimarcato e sottolineato dall'Harvard Business Review "è facile attribuire la colpa delle dimissioni silenziose a lavoratori pigri o demotivati". Quando in realtà basterebbe guardarsi dentro e riconoscere che "le persone vogliono dare la loro energia, creatività, tempo ed entusiasmo alle organizzazioni e ai leader che lo meritano”. 

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