Traffico aereo, il divario fiscale per le casse italiane è alle stelle

Nel 2022 lo Stato italiano ha perso 3,1 miliardi di euro di entrate a causa dei bassissimi livelli di tassazione a cui è sottoposto il settore aereo. L'analisi

di Redazione Economia
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Traffico aereo, il divario fiscale per le casse italiane è alle stelle: persi 3,1 miliardi di euro. Ita e Ryanair in testa

Lo scorso anno le casse dello Stato italiano hanno perso 3,1 miliardi di euro di entrate a causa dei bassissimi livelli di tassazione a cui è sottoposto il settore del trasporto aereo. Un “divario fiscale”, prodotto dalla differenza tra le entrate che avrebbero dovuto essere generate dai prezzi dei viaggi aerei e i ricavi che sono stati effettivamente raccolti, che a livello europeo vale oltre 34 miliardi di euro, circa 4 milioni di euro “persi” ogni ora.

Questo quanto emerge da una ricerca di Transport & Environment, l’organizzazione ambientalista indipendente europea. Secondo T&E, a fronte degli impatti climatici del trasporto aereo, l’Italia continua a non tassare il settore come dovrebbe: manca una tassa sul cherosene, quelle sui biglietti e l’IVA sono troppo basse e il “carbon pricing” è attivo solo sui voli intraeuropei. Carlo Tritto, Policy officer di T&E Italy, si chiede: “Come giustificare che un qualsiasi automobilista paghi sul carburante più tasse di una compagnia aerea come ITA Airways o Ryanair?”

Già, perché, stando ai numeri rilasciati nel report, sia Ryanair che ITA Airways contribuiscono in maniera significativa ad ampliare il “divario fiscale” made in Italy: dei 3,1 miliardi di euro, infatti, 500 milioni sono da ricondurre alla mancata pressione fiscale sulle attività e i passeggeri di Ryanair, mentre 270 milioni dipendono da ITA. Se, poi, guardiamo solo alle agevolazioni sul carburante e il carbon pricing, tralasciando le “perdite” sui biglietti aerei, viene fuori che Ryanair tocca i 260 milioni di euro di mancati pagamenti, mentre ITA i 130 milioni di euro.

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Tassare le compagnie aeree, soluzioni e conseguenze

Secondo l’analisi di T&E, inoltre, senza interventi concreti e dando per assodato il ritmo di crescita del trasporto aereo - nel 2023 è previsto il ritorno al livello pre-covid - il divario fiscale in Italia è destinato ad aumentare del 49% entro il 2025, toccando i 4,6 miliardi di euro.

Ma quali potrebbero essere le possibili soluzioni? Secondo l’organizzazione, per risolvere il divario fiscale occorrerebbe applicare una tassa sul carburante al cherosene, un'aliquota IVA del 20% sui biglietti ed estendere il “carbon market” - il sistema attraverso cui i crediti di carbonio vengono comprati e venduti per mitigare gli impatti ambientali di determinate attività - a tutti i voli in partenza. L’alternativa suggerita, qualora non si riuscissero ad avviare tutte queste misure, sarebbe quella di applicare una “ticket tax” equivalente al divario fiscale previsto per il 2025, cioè 4,6 miliardi di euro.

Nessun effetto sui passeggeri? Non proprio: sempre secondo lo studio, l’aumento della tassazione avrà certamente un impatto sui prezzi dei biglietti per i passeggeri, ma questo potrebbe non essere necessariamente un male. Da T&E, infatti, immaginano che un aumento del prezzo dei ticket porti con sé una conseguente diminuzione della domanda e un risparmio di emissioni di CO2. “La tassazione che proponiamo vuole essere un modo per far contribuire di più chi vola maggiormente e dunque beneficia direttamente della sotto regolamentazione del settore - conclude Tritto - Parliamo dei cosiddetti frequent flyer, l'1% delle persone responsabili però del 50% delle emissioni del trasporto aereo”.

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