Congresso Usa, finita la telenovela: il repubblicano McCarthy nuovo speaker

L'epilogo tra mille colpi di scena della vicenda non chiude la battaglia interna al partito di Trump

Esteri

McCarthy eletto alla 15esima votazione, ma la guerra intestina prosegue

Dopo quindici votazioni Kevin McCarthy ce l’ha fatta: il rappresentante della California, 57 anni, nella notte americana è diventato il nuovo Speaker del Congresso americano. Il candidato della maggioranza ha ottenuto 216 voti sui 428 espressi. Ne bastavano 215. Il Democratico Hukeem Jeffries si è fermato a 212, i sei “ribelli” si sono limitati a votare presente, abbassando il quorum per consegnare a McCarthy la vittoria.

La proclamazione dell’elezione è arrivata quasi all’una di notte, al termine di una notte drammatica, cominciata con l’ottimismo di McCarthy, che alla vigilia aveva raggiunto l’accordo con gli ultimi ribelli, guidati da Matt Gaetz.  Lauren Boebert, che nelle tredici precedenti elezioni aveva votato sempre contro McCarthy, alla fine aveva votato “presente”, accolta dall’applauso dei Repubblicani. Gaetz si è confermato il regista di tutto, l’uomo che ha tenuto in scacco McCarthy e il partito oer quattro giorni, il capo degli irriducibili: con una trama già scritta, l’esponente ultratrumpiano ha prima disertato il voto per poi presentarsi all’ultimo, quando il suo voto era diventato decisivo: se avesse detto “McCarthy”, avrebbe sancito la vittoria del candidato ufficiale, se si fosse limitato a essere presente, ne avrebbe decretato la sconfitta. Gaetz ha scelto la seconda opzione, gelando l’aula. McCarthy è parso prima sorpreso, poi livido. Lo sconfitto è andato da Gaetz e ha cominciato a parlare. Altri Repubblicani si sono aggiunti. Sono seguiti momenti di confusione e imbarazzo. La sensazione è che l’accordo tra le parti fosse saltato all’ultimo momento. 

Il partito di maggioranza ha presentato una mozione per aggiornare il voto a lunedì ma era chiaramente una soluzione di ripiego, che nessuno voleva. A quel punto c’è stato un nuovo colpo a sorpresa: Gaetz e McCarthy hanno trovato rapidamente l’accordo. Sono andati insieme al tavolo della presidenza e hanno consegnato due foglietti, probabilmente con il numero dei deputati che non avrebbero partecipato al voto, abbassando ik quorum e accorciando i tempi. In questo modo il “no” al rinvio votato in modo compatto dai Democratici è diventato un involontario assist per bocciare la mozione e andare subito alla quindicesima votazione, quella finale. Il clima di tensione si è sciolto.

I ribelli si sono limitati a essere presenti. McCarthy si è avviato stavolta alla vittoria, senza più colpi di scena. I “ribelli” hanno chiuso senza votare per McCarthy, ma anche senza votargli contro. Alla fine l’applauso liberatorio dell’aula ha chiuso uno dei momenti più convulsi della recente storia americana. McCarthy ha stretto i pugni in segno di vittoria, seppure arrivata dopo quattordici umiliazioni. Gaetz non ha partecipato ai fedteggiamenti. Ora il Congresso, dopo quattro giorni in cui gli Stati Uniti sono rimasti senza organo legislativo, può cominciare davvero a lavorare. Per affilare le armi, dentro la maggioranza, ci sarà tempo. Ma il duello con Gaetz probabilmente non finisce con l’epilogo di stanotte.

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