Guerra, Hamas vuole distruggere l'asse Israele-Arabia. E c'entra il petrolio

Il tentativo di fare a pezzi l’avvicinamento dell’Arabia Saudita a Israele e perché l’accordo passa per la difficile via del petrolio

di Antonio Amorosi
Guerra in Israele
Esteri

Cosa nasconde l'attacco di Hamas e perché si collega al costo della benzina

L’avvicinamento dell’Arabia Saudita agli Stati Uniti ha prodotto effetti inattesi nello scenario geopolitico. Il convincimento di Riyadh che la strategia di Washington, stabilizzare definitivamente l’area israelo-palestinese in Medio Oriente, non fosse del tutto peregrina e la contemporanea disponibilità ad aumentare la produzione di greggio (se la tendenza dei prezzi del petrolio resta l’attuale) ha segnato questo passaggio cruciale. 

Gli USA si preparano alle prossime elezioni e nessuno ha intenzione di mantenere lo stato di crisi, determinato dal costo dell’energia e dal peso dell’inflazione.

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Nelle ultime settimane, sia la leadership dell’Arabia Saudita che quella di Israele hanno evidenziato il desiderio di normalizzare i rapporti, con gli Stati Uniti pronti a negoziare. Gli inviati di guerra hanno più volte enfatizzato la visita senza precedenti, il 26 settembre scorso, del ministro del Turismo israeliano Haim Katz in Arabia Saudita, però vista molto negativamente proprio da Hamas e dall’Iran. La creazione di canali di comunicazione così intensi tra Arabia Saudita e Israele è considerata un tradimento della causa. E’ infatti da ricordare anche che l’Arabia Saudita è da sempre tra i finanziatori dell’organizzazione politica fondamentalista e paramilitare islamista sunnita palestinese. 

La normalizzazione voluta dai sauditi, che prevedeva anche il ritiro di Israele da parte dei territori contesi, e la dichiarazione degli stessi di poter aumentare la produzione di petrolio, specifica vicenda raccontato dal Wall Street Journal, hanno innestato la miccia. Per gli esperti non allineati è proprio l’avvicinamento che prevedeva un possibile riconoscimento di Israele da parte di Riyadh ad aver provocato l'offensiva di Hamas, con la raffica di razzi e l’invio di uomini armati in Israele in un attacco, anche qui, senza precedenti. 

Tutto questo si innesta in un contesto internazionale già particolarmente problematico perché la decisione dell'Arabia Saudita di aumentare la produzione di petrolio sarebbe complicata dall’alleanza che i sauditi hanno con la Russia nell'OPEC +. Entrambi i Paesi hanno precedentemente limitato la produzione per mantenere alti i prezzi e avere il massimo profitto dalla situazione geopolitica attuale. Situazione che ora potrebbe ulteriormente arretrare con effetti negativi sui mercati.

La guerra di Hamas a Israele mette proprio in pericolo la speranza del mercato petrolifero di trovare un accordo.

Washington ha lavorato per mesi per mediarlo e segnare contemporaneamente una svolta storica in Medio Oriente, un'impresa diplomatica in un anno elettorale per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Numerosi alti funzionari dell'amministrazione Biden si sono recati più di una volta a Riyadh nell'ultimo anno, per far avanzare i colloqui.

Per il ministero degli Esteri d’Israele dietro l’attacco del 7 ottobre vi sarebbe la mano e l’interesse dell’Iran che con Hamas vuol esasperare il quadro in funzione anti Occidentale. Secondo l’Intelligence israeliana, che si è dimostrata impreparata all’assalto, dietro l’operazione di Hamas è lampante l’ideazione di Teheran: già nelle ore successive alla prima salva di razzi la guida suprema Ali Khamenei annunciava l’appoggio dell’Iran all’offensiva di Hamas, invitando gli sciiti libanesi a scendere in campo nel nord di Israele.

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