Guerra Ucraina, conta solo la Russia. Occhi chiusi su altri regimi e dittature

Turchia, Arabia Saudita, Iran, Venezuela, Vietnam, Myanmar, Afghanistan e India: quanti casi di doppi standard Usa e di governi che approfittano della crisi

Esteri
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Con la guerra in Ucraina conta solo la Russia. Il resto? Liberi tutti

Conta solo la Russia. E, in seconda battuta, la Cina. Tutti gli altri ce li si può fare andare tutto sommato bene. E' la conclusione alla quale sembra essere arrivato l'occidente, o almeno una sua parte. Per certi versi comprensibile, vista l'emergenza attuale sulla guerra in Ucraina, ma d'altro canto in molti leggono atteggiamenti a doppi standard e pericolosi distinguo in un momento nel quale in molti sembrano potersi avvantaggiare dalla distrazione globale su quanto sta accadendo a Kiev e dintorni.

Ultimo esempio: la Turchia ha ceduto all'Arabia Saudita l'inchiesta sull'omicidio di Jamal Khashoggi, giornalisa trucidato il 2 ottobre del 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Molto lascia intendere il coinvolgimento di quache grado del governo di Ryad, che ora si ritroverà però a presiedere un'indagine che dovrebbe mettere a processo se stesso. Con esiti facilmente prevedibili. Alla base della decisione, secondo molti analisti, la volontà di Recep Tayyip Erdogan di migliorare le relazioni con l’Arabia saudita, sua storica avversaria in Medio oriente.

Turchia, Arabia Saudita e caso Khashoggi

La compagna di Khashoggi, Hatice Cengiz ha annunciato che presenterà ricorso. Difficile le sia data ragione. D'altronde, questa vicenda vede in azione due paesi non certo pienamente democratici che stanno prendendo spazio durante la crisi. La Turchia era finita nel mirino degli Stati Uniti per l'acquisto di armi e sistemi missilistici dalla Russia, tanto da mettere in discussione la vendita di velivoli americani visto che Ankara fa parte della Nato. L'Arabia Saudita era invece in rotta di collisione con Washington per la decisione di non alzare i volumi di estrazione del petrolio come richiesto da Biden e per la scelta di vendere barili in yuan cinesi a Pechino, grande rivale degli Usa.

Eppure nelle ultime settimane sono stati lanciati messaggi concilianti sia alla Turchia, con Erdogan che si sta impegnando in prima persona per dirigere il processo negoziale tra Mosca e Kiev, e con la stessa Arabia Saudita, con il Pentagono che ha inviato nuovi Patriot dopo che Ryad ha ventilato l'ipotesi che gli attacchi degli Houthi dallo Yemen possano mettere in crisi le forniture di petrolio. Washington ha fatto arrivare nuove batterie anti-aeree Patriot in Arabia Saudita cercando di riavviare il legame con un partner storico nella regione.

Il riavvicinamento Usa-Iran? Ne ha bisogno forse più Biden

Ma questo è solo uno dei tantissimi casi. In cima alla lista c'è l'Iran. Il primo fronte è quello iraniano. Nelle scorse settimane il ministero degli Esteri francese ha fatto sapere che ci si trova "molto vicini a un accordo sul nucleare iraniano", aggiungendo comunque che c'è grande preoccupazione "per il rischio che ulteriori scadenze possano pesare sulla possibilità di concludere" l'intesa.  Londra, Parigi e Berlino, si legge ancora nel comunicato, lanciano un appello "a tutte le parti ad avere un approccio responsabile".

Il riferimento è a quanto succede tra Ucraina e Russia, ovviamente. L'accordo sembrava infatti già cosa fatta prima dell'uscita di venerdì svorso di Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo che ha chiesto la garanzia, firmata dalla Casa Bianca, che le sanzioni imposte a Mosca in seguito all'attacco all'Ucraina non intaccheranno la cooperazione commerciale, economica, energetica e militare tra Mosca e Teheran. Biden ha bisogno di un accordo, Teheran lo sa e tiene il coltello dalla parte del manico.

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Biden tenta di sdoganare persino il Venezuela di Maduro

Allo stesso modo, però, se è vero che Biden ha bisogno di accordi anche per tenere a bada l'inflazione e portare risultati concreti in materia di politica estera è anche vero che non può mostrarsi debole. E così sul Venezuela ha compiuto una retromarcia.  Secondo quanto scritto da New York Times e Wall Street Journal la Casa Bianca ha inviato a Caracas in segreto, nelle scorse settimane una delegazione di alti funzionari a Caracas per analizzare una possibile revisione delle sanzioni contro la società statale petrolifera Pdvsa in cambio di una ripresa delle esportazioni di greggio venezuelano verso gli Usa.

Secondo diversi analisti, un aumento della produzione di petrolio da parte del Venezuela potrebbe coprire solo una piccola fetta del fabbisogno aggiuntivo americano in sostituzione delle importazioni dalla Russia, ma potrebbe comunque incentivare l'isolamento di Mosca. Il segnale che qualcosa si stia muovendo tra Usa e il regime di Maduro è arrivato con la liberazione di due cittadini statunitensi detenuti nel paese sudamericano: un dirigente del colosso petrolifero Citgo, arrestato nel 2017, e un altro cittadino di cui non è stata resa nota l'identità.

In Asia in molti godono per la distrazione Usa

Ci sono poi una serie di paesi e governi autoritari che traggono benefici dalle distrazioni altrui. Per esempio il Myanmar, dove l'esercito ha effettuato un golpe militare nel febbraio 2021 incarcerando nuovamente Aung San Suu Kyi. L'attenzione già al ribasso sul tema è praticamente sparita del tutto. Anche il Vietnam è preservato da critiche su pratiche politiche e commerciali. Occhi chiusi sui diritti civili ma la Casa Bianca ha anche stoppato indagini anti dumping su Hanoi perché lo ritiene un potenziale partner in Asia-Pacifico in ottica anti cinese.

Stessa sorte che era stata pensata per l'India. Peccato che Nuova Delhi continui ad adottare la stessa linea cinese sulla guerra in Ucraina: neutralità. Il Vietnam ha addirittura votato contro la risoluzione delle Nazioni Unite per espellere la Russia dal consiglio per i diritti umani. Nel frattempo la stessa Afghanistan dei talebani sta vivendo un processo di normalizzazione guidato dalla Cina, vero attore di stabilizzazione regionale in Asia. 

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