Politica
Bisignani: "Una Verità davvero fantasiosa... Colombia? Non ne ho idea"
Luigi Bisignani ad Affaritaliani.it: "In quel periodo ero in Messico"
Bisignani: "Superfluo sottolineare che della questione Colombia non ne ho la più pallida idea e ne ho appreso dai giornali"
"Una Verità davvero fantasiosa che in ogni sua inchiesta cerca di farmi spuntare; che io possa essere stato addirittura il testimone richiesto di un incontro tra due personaggi del calibro del presidente D'Alema e del dottor Bono mi lusinga personalmente, ma mi fa davvero sorridere. Superfluo sottolineare che della questione Colombia non ne ho la più pallida idea e ne ho appreso dai giornali. In quel periodo dell'anno, per altro, ero in vacanzia da mia figlia che vive in Messico". Con queste parole Luigi Bisignani, interpellato da Affaritaliani.it, commenta l'articolo di questa mattina del quotidiano la Vertià dal titolo: «Bono non diede l’ok a D’Alema sull’affare» - E al pranzo in azienda spunta pure Bisignani - L’ad Fincantieri volle il lobbista come testimone non fidandosi di Baffino. L’ordine al dg Giordo: nessun accordo col politico
ECCO CHE COSA HA SCRITTO LA VERITA'. L'ARTICOLO
In pieno Colombia-gate, Massimo D’Alema, oltre all’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, incontrò a pranzo anche «l’uomo che sussurra ai potenti», al secolo Luigi Bisignani. Nei giorni scorsi avevamo raccontato di una colazione organizzata il 21 dicembre scorso in via Tevere nella sede romana dell’azienda in cui l’ex premier si sarebbe scambiato gli auguri di Natale con Bono. Avevamo anche rivelato che a tavola c’era un terzo commensale che per giorni è rimasto senza nome, sino alle prime indiscrezioni su Bisignani, ex giornalista radiato dall’Ordine, lobbista e imprenditore, noto alle cronache recenti per un interrogatorio come affiliato della fantomatica loggia Ungheria di Piero Amara.
Bisignani ha negato di far parte della presunta società segreta, dopo essere già stato coinvolto e scottato nelle vicende della P2 e della P4. Il sessantottenne consulente originario di Milano, ma residente a Roma, è considerato ancora oggi uno dei personaggi più influenti della Capitale a causa della sua agenda infinita, seppur sia visto come il fumo negli occhi da gran parte della stampa di sinistra. Ancora oggi scandisce le giornate con pranzi e appuntamenti. Uno di questi sarebbe stato con D’Alema e Bono. Da Fincantieri ci confermano che nel giorno in cui druidi e massoni celebrano il solstizio d’inverno, Bisignani era a tavola con loro, ma senza un ruolo specifico. Fonti vicine all’ad chiosano che è l’ex premier che «ha chiesto di poter andare a salutare» il manager e che quest’ultimo, «non fidandosi di D’Alema, ha invitato Bisignani a restare a pranzo».
Le stesse fonti specificano che, comunque, quell’incontro «era uno dei tanti organizzati in quei giorni con vari ospiti per lo scambio di auguri natalizi» e che «il pasto fu frugale». Infatti il settantottenne Bono avrebbe un rapporto monacale con il cibo. Mentre sarebbe più avvezzo alle pubbliche relazioni: «Bisignani è andato diverse volte a salutarlo in occasione delle feste e conosce bene anche D’Alema. Si conoscono bene tutti da anni. Ma l’ex primo ministro non ha mai fatto affari con Fincantieri, né, da quanto ci risulta, con Bisignani. Durante il pranzo i tre hanno parlato di politica e scenari internazionali, essendo Bono appassionato di entrambe, sciorinando i rispettivi diversi punti di vista».
A TAVOLA
In Fincantieri ritengono che D’Alema abbia accettato di pranzare con Bono «anche alla presenza di Bisig nani» probabilmente per l’urgenza di discutere di Colombia a pochi giorni dal primo incontro operativo dei suoi collaboratori a Cartagena nei cantieri navali Cotecmar. La ricostruzione prosegue: «Solo alla fine, nel congedarsi sull’uscio dell’ascensore in presenza del testimone, D’Alema accennò brevemente a Bono di un’atti - vità in Sud America, senza specificare che fosse in Colombia, di cui disse di aver già parlato con l’ad di Leonardo Alessandro Profumo e il direttore generale della divisione Navi militari G iuse ppe Giordo, che aveva dunque individuato come suoi interlocutori».
Insomma l’ex premier si sarebbe affacciato in via Tevere con la banale scusa del Natale, ma in Fincantieri oggi sospettano che fosse «interessato sin dall’inizio a trovare comunque un momento per accennare a Bono, quantunque in modo vago, quelle che lui riteneva essere opportunità in Sud America ed, essendosi già mosso con G io rd o, probabilmente sperava di ricevere, avvisando l’ad, un via libera che sulla porta dell’ascensore non ottenne». Sembra di rivedere la scena descritta ai pm di Roma da Carlo De Benedetti a proposito della sua visita a Palazzo Chigi di inizio 2016: pure in quell’occasione, solo al momento dei saluti davanti all’ascensore, inmodo anche quella volta molto vago, l’imprenditore avrebbe saputo dall’allora premier Matteo Renzi del decreto in preparazione sulle Banche popolari, una riforma su cui l’editore del Domani nei giorni successivi avrebbe puntato guadagnando 600.000 euro con la compravendita di azioni.
Il 21 dicembre Bono avreb - be apparentemente glissato: «Annuì, fiutando, però, che c’era qualcosa che gli veniva tenuto nascosto o a cui comunque occorreva prestare attenzione» e «ridendo, ma non troppo», avrebbe lasciato intendere che «non lo convinceva né la sibillina informazione appena ricevuta da D’Alema, né il fatto che fossero coinvolti Profumo e Giordo e, infatti, subito dopo mise in guardia il dg affinché seguisse le corrette procedure, invitandolo ad affidarsi solo ai preposti canali G2G e non a D’Alema». Secondo l’entourage di Bono «col senno di poi, è stata provvidenziale la presenza del testimone Bisignani al colloquio».
I collaboratori dell’uo m o forte della cantieristica italiana fanno notare anche che Profumo e Giordo, con cui D’Alema disse di aver già parlato, «erano, tra l’altro, rivali dell’amministratore delegato;il primo perché osteggiava il disegno della Difesa comune europea a guida italiana perseguito da Bono, il secondo perché puntava alla sua poltrona di ad». Inoltre il ceo di Fincantieri sarebbe stato «completamente all’oscu ro» degli 80 milioni di provvigioni di cui «straparla» D’Alema nell’audio pubblicato dalla Verità e avrebbe «assolutamente vietato a Giordo di usare qualsivoglia mediazione che prevedesse eventuali provvigioni, invitandolo a utilizzare solo ed esclusivamente contatti istituzionali». E per questo Giordo, per giustificare la trasferta a Bogotà, avrebbe riferito di dover «incontrare il ministro della Difesa e non interlocutori di basso livello procurati da Giancarlo Mazzotta», l’ex sindaco pugliese, attualmente sotto processo per reati gravi (anche per estorsione aggravata dal metodo mafioso) e «ambasciatore» di D’Alema in Colombia.
LA TRASFERTA IN LIBANO
A proposito del viaggio dell’ex ministro degli Esteri in Libano insieme con il manager di Fincantieri Federico Riggio nell’estate del 2019 da Trieste ci fanno sapere: «La trasferta di D’Alema non è stata a carico dell’azienda e non ha viaggiato con noi. Se si incontrò con Riggio a Beirut era perché si trovava lì in qualità di consulente di Ernst&Young, società che ci forniva una regolare e trasparente consulenza che nulla ha a che vedere con il meccanismo colombiano». Un contratto con un tetto complessivo di 560.000 euro affidata per individuare gare e partner in Medio Oriente e fornire dossier sul Paese. Un altro accordo da 400.000 euro per assistenza legale non è stato, invece, mai attivato.
L’1 marzo, dopo che abbiamo pubblicato il primo scoop con l’audio di D’Alema e la notizia del Memorandum of understanding siglato da G io rd o e dal direttore commerciale Achille Fulfaro a Bogotà, alle 6:55 del mattino, Bono scrisse a Giordo questa mail: «Se avete firmato Mou a mia insaputa aspetto a stretto giro che ne traiate le conseguenze». Tradotto: attendo le vostre dimissioni. Risposta delle 7:48: «Dottore non abbiamo firmato Mou, abbiamo solo firmato una carta con tempistiche di come procedere. Stamattina vengo subito da lei e glielo faccio vedere». In effetti il documento chiamato pomposamente Mou era abbastanza generico, ma comunque così era definito nell’intestazione e, a stretto giro, Mazzotta, se - condo le nostre fonti, aveva fornito ai colombiani una road map un po’ più dettagliata, con dead line al 31 marzo per la chiusura formale della convenzione e a maggio per l’approvazione del finanziamento da parte della Sace.
Nella lettera di sospensione di Giordo del 28 marzo si legge, a proposito della trattativa colombiana: «È emerso pubblicamente il Suo coinvolgimento nella vicenda con ruoli e iniziative che, per un verso creano forte imbarazzo e potenziale danno alla scrivente Società» visto il ruolo ricoperto dal dg, «per un altro vanno necessariamente e puntualmente chiariti e valutati». Nella raccomandata l’azienda informa Giordo di quanto segue: «In attesa di verificare la sussistenza di Sue responsabilità di rilievo anche disciplinare (attraverso un audit interno, ndr), disponiamo la sua sospensione cautelare dal servizio, fermi i diritti retributivi, con effetto immediato e fino a nuova comunicazione». Giordo è anche stato invitato «ad astenersi, sino a nuova comunicazione, dal partecipare alle attività delle società partecipate da Fincantieri, nelle quali ricopra cariche sociali su designazione» dell’azienda.
Una decisione che Bo n o non ritiene troppo frettolosa. Anzi si ritiene un «garantista», avendo, a suo dire, messo in guardia il suo collega a dicembre, tre mesi prima del provvedimento. Salvo poi scoprire che «Giordo non incontrò il ministro della Difesa, ma degli emissari di Mazzotta» e che «aveva firmato un Mou, mentre a Bono aveva parlato di una minuta dell’incontro e poi di quella che si è scoperta essere la road map». Senza contare, ribadiscono i nostri interlocutori, che «non eraautorizzato a firmare né la road map, né il Mou e l’ave rl o fatto gli è valsa la sospensione». Anche riguardo a una presunta precedente consulenza richiesta negli Usa allo studio legale Robert Allen Law di Miami, «segnalato» pure a Leonardo da D’Alema, da l l a multinazionale smentiscono: «Noi ci siamo sempre avvalsi di primari studi a Washington e New York». I vertici dell’azienda hanno altre notizie sul caso? «No, non ci sono mai pervenute altre informazioni perché Giordo non parlava con interlocutori istituzionali, come avete giustamente scritto voi. Infatti i firmatari colombiani del Mou erano consulenti indipendenti. Superficialità o cosa?». In vista delle prossime nomine la battaglia intorno al Colombia-gate si sta facendo davvero cruenta.