Sudan, la democrazia dorata in crisi. Usa e Russia ci mettono lo zampino

I retroscena sul Paese al centro del conflitto. "Le tensioni tra Russia e Usa potrebbero estremizzarlo". Parla l'esperto dell'area Marco Valentini

di Enrico Verga
Evacuazione dal Sudan
Esteri

Sudan, la democrazia dorata crocevia di conflitti e interessi

Il Sudan è uno stato strategico, geograficamente parlando, sia per quanto riguarda il traffico di migranti africani attraverso il Sahel, che per gli equilibri di potere nel corno d’Africa e Mar Rosso. Il 15 aprile il Sudan è esploso: scontri tra le due fazioni armate si sono registrati nella capitale. Il primo contendente è il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente dall’ottobre del 2021. Dall’altra parte il “contendente”, il generale Mohamed Hamdan Dagalo vice-presidente del Sudan e comandante delle milizie autonome Janjaweed, in seguito inquadrate nello stato come “forza di supporto rapido”. Da quando il presidente civile al-Bashir ha lasciato nel 2019, il Sudan si è trascinato per un paio di anni, con un governo instabile ma in pace. Ora l’equilibrio delle forze si è spezzato e ognuno vuole la sua parte di sogno democratico sudanese. A dirla tutta, in Sudan ci sono anche soldi da fare, se si ha l’etica giusta. Facciamo il punto.

L’esperto Marco Valentini: “Il Sudan non esiste come Paese”

Per capire meglio la situazione reale in Sudan, Affaritaliani ha interpellato un esperto dell’area, Marco Valentini, operatore in contesti di crisi, sia che siano causate dagli uomini (guerre) che da calamità naturali (inondazioni, siccità, carestie etc..). Dall’Afghanistan Valentini ci spiega il mercato immobiliare di Kabul mentre in sottofondo si sentono gli ak47 scoppiettare allegri e dopo otto anni di lavoro sul campo in Sudan ci racconta l’aria che tira.

“Il Sudan non esiste come paese. Come diceva Herbert Kitchener - famoso comandante inglese che conquistò il Sudan e inventò i campi di concentramento in Sud Africa, di cui vi abbiamo parlato Ndr - il Sudan è uno scatolone di sabbia tra la cataratta di Assuan e la colonia inglese dell’Uganda”. Valentini aggiunge: “Ai tempi nessuno si filava questa area. Poi nel ‘900 i francesi cominciarono a farci un pensiero guardando al Darfur, agli inglesi non piaceva l’idea che i francesi dividessero in due le loro colonie e quindi crearono uno stato da zero. Misero insieme il nord con forti contaminazioni egiziane, le tribù arabe dei territori costieri, fecero la capitale a Kartoum e agganciarono il sud. Così nacque il Sudan pre-scissione”.

Se la storia di questa nazione assomiglia a tante altre tragiche eredità coloniali, dove i bianchi europei montavano gli stati con righello e squadra (vedasi il medio oriente dall’Iraq in poi), l’evoluzione socioeconomica è stata tutta una tensione centrifuga, sempre più lontana da un potere centrale organizzato. “A nord, i pastori e i contadini prima andava d’accordo.” Continua Valentini. “Poi le crescenti stagioni secche hanno ridotto il bioma disponibile per le mucche e i contadini, prima disponibili a condividere i raccolti rimasti sul terreno, sono divenuti più conservatori. Ne ha approfittato il governo centrale che, militarizzando i pastori, ha deciso di cacciarli. Da qui la nascita dei Janjaweed, milizie civili usate dal governo centrale come una scopa per fare pulizia etnica. I contadini di etnia Fur non sono mai andati a genio al governo centrale e le tensioni tra pastori e contadini è stata un’opportunità per valorizzare le tensioni in modo creativo” precisa l’esperto.

Cosa è successo poi? Valentini: “Finita la pulizia etnica, nel 2017-18 il governo si ritrovò migliaia di Janjaweed armati, formati dalle guerre civili al nord e in cerca di qualcosa da fare per campare. Per evitare disordini Al Bashir li integrò nel governo, rinominandoli “forza di supporto rapido (RSF in inglese)”. Poi arrivò la secessione - con regolare referendum - per il sud Sudan, cristiano e ricco di petrolio. Khartoum si ritrovò improvvisamente povero e cominciò a inventarsi nuove soluzioni per coprire il debito mostruoso accumulato. La concessione a destra manca dei diritti di prospezione ed estrazione minerale e petrolifera. Insomma, poco petrolio in quel che resta del Sudan ma vene d’oro importanti.

“Le miniere non sono in zone irrilevanti per agricoltura e pastorizia, ma nelle aree di influenza degli ex pastori, ex Janjaweed, ora RSF. Ogni concessione mediamente comprende 1000 kmq; inizialmente tutte le compagnie minerarie si sono interessate e hanno aperto impianti. In un secondo momento invece, la consapevolezza del quadro locale complesso ha spinto gli operatori internazionali (russi, canadesi, africani) a richiedere l’ausilio di mercenari. Prima si sono candidati quelli della Wagner poi gli altri eserciti mercenari africani (tutti afrikaneers bianchi, dal Sud Africa nda). In seguito anche l’esercito regolare e le RSF hanno offerto il loro servizio di sicurezza. Negli anni le unità mercenarie sono divenute partner delle compagnie estrattive e oggi sono un'unica soluzione che, a volte come gli RSF, tende a voler influenzare le decisioni del governo” conclude Valentini.

Gli stakeholder che si contendono le ricchezze del Sudan

Ci sono tre entità di potere che si disputano il Sudan e le sue ricche miniere d’oro (e altri depositi minerali): i RSF, l’esercito regolare e il governo civile. Gli RSF, ex Janjaweed, sono una forza di cavalleria leggera, simile all’Isis. Si riconoscono per i pickup, le armi automatiche leggere a cui si aggiungono rpg e mitragliatori pesanti, di solito montati sui camion. Queste sono ottime unità contro i civili e la fanteria semplice ma inefficaci contro un esercito strutturato con corazzati e aviazione. Gli RSF combattono con uno stile di guerriglia che ben si presta al contesto di guerra asimmetrica tipica degli scontri urbani.

L’esercito regolare è il bambino d’oro del Sudan. Al Bashir lo ha coccolato per anni: case più belle, ricchi stipendi, mezzi leggeri e pesanti moderni (si diciamo di seconda mano, ma tenuti bene). È il potere militare più forte che, grazie a marina e aeronautica può imporre il potere mettendo a capo dello stato un loro generale. Il terzo potere è quello più “accettato” dall’Occidente, si tratta dell’amministrazione e del potere politico civile. Al Bashir lo rappresentava pur tenendo da conto prioritariamente l’esercito. Poi, con la fine di Al Bashir i “civili” hanno cercato di instaurare un governo pro-Occidente ma con scarsi risultati.

Economicamente parlando i governi precedenti hanno strutturato il Sudan su una solida base di entrate, generate da materie prime adatte all’esportazioni, soprattuto petrolio. Questi proventi permisero investimenti importanti, tra questi la costruzione di dighe e la stesura di una rete stradale moderna. I campi petroliferi principali erano al sud, dove la capitale Khartoum (a maggioranza islamica) aveva uno scarso potere decisionale su una maggioranza di elites locali cristiane.

Quando nel 2011 il Sud Sudan secesse il resto del paese crollò. Nel 2010 le esportazioni di petrolio valevano poco meno di 10 miliardi di dollari mentre dopo la secessione, nel 2015, i profitti corrispondevano ad appena 600 milioni di dollari. Già dal 2005, come riporta Raphaëlle Chevrillon-Guibert, il Sudan cercava di diversificare l’economia e un aiuto venne dal settore minerario. Così la Nazione, menomata del sud, ha investito in prospezioni e ricerche, offrendo permessi ad aziende estrattive straniere. Il Sudan ha depositi interessanti di manganese, uranio e cromo ma è l’oro che ha fatto svoltare le sorti della nazione, infatti il sogno di al-Bashir era di creare un nuovo stato che si sarebbe mantenuto con i proventi dell’estrazione aurifera.

A partire dal 2010 -12 l’oro ha reso il Sudan uno dei più grandi produttori del Sahel, secondo solo al Ghana e al Sud Africa. Le prime scoperte significative furono in Sudan (Jebel Amir) nel 2012, seguite da altre in Chad (Batha e Tibesti) tra il 2013 e il 2016. Nel 2014 fu il turno del Niger (Djado, e Aïr) e infine nel 2016, il Mali (Kidal) e la Mauritania (Tasiast). Tutta l’area del Sahel fu pervasa da una selvaggia corsa all’oro, simile per intensità e violenza, alle corse all’oro californiane.

In Sudan, sino al 2012, il 70% circa delle riserve aurifere era gestito da due compagnie: la joint venture Ariab - creata da Canadesi egiziani e sudanesi - e una joint venture marocco-sudanese. Entrambe gestivano le operazioni in modo efficace ma poco attento alla tutela ambientale e dei diritti umani. La scoperta dell’oro a Jebel Amir fu così rilevante da movimentare oltre 100mila cercatori del Sahel non sempre scrupolosi verso la legge. Tra il 2011 e il 2014 il Sudan del nord, in particolare il Darfur, divenne la nuova El Dorado. Nel 2015 circa un milione di lavoratori e, indirettamente, altri tre, erano legati all’industria mineraria;molti dei quali non erano sudanesi.

Da ricordare che l’area del Jebel Amir, nord Darfur, venne interessata a partire dal 2013 da un’operazione “informale” di pulizia etnica per lo più gestita dagli ex pastori, ora Janjaweed. Si stima che circa 300mila civili furono massacrati dalle azioni violente perpetrate ma si ritiene fossero commissionati dall’allora capo del Sudan al-Bashir. A causa di queste azioni il Sudan subì importanti sanzioni da parte degli Stati Uniti e dagli alleati occidentali. Questa condizione di “stato non gradito” permise ai compratori d’oro stranieri di acquistare il prezioso metallo con forti sconti, per chiudere un occhio sulla condizione della Nazione. Con le sanzioni occidentali non furono solo i mercenari ad arrivare in Sudan e così con gli investimenti bloccati nel 2017 il Sudan si rivolse a Oriente. Il presidente al-Bashir fu ospite di Putin a Sochi. A seguito del meeting la Meroe Gold, una compagnia Sudanese mineraria, arruolò esperti minerari russi. Oggi il dipartimento del tesoro americano ritiene che l’azienda sudanese sia controllata da Prigozhin: dal 2020 gli Usa hanno imposto sanzioni all’azienda mineraria. 

Crisi in Sudan: da conflitto di interessi locali alle implicazioni globali

La crisi sudanese non è la prima dell’area e non sarà l’ultima. La presenza di mercenari russi è solo una conseguenza di un vuoto di potere lasciato dall’Occidente, in particolare da Usa e Francia. Da tempo ormai l’Occidente ha perso terreno e relazioni con i leader politici del continente.

Il Sudan, con i suoi giacimenti minerari e la sua eterogeneità demografica rappresenta un’area calda dei prossimi anni. Le recenti tensioni tra Russia e Usa potrebbero estremizzare quello che - in origine almeno - era un conflitto di interessi locali tra vecchi poteri militari e nuovi.

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