Gli Usa diventano autarchici: Joe Biden è una copia sbiadita di Donald Trump

Per la sicurezza nazionale statunitense il "consenso di Washington" a favore delle politiche economiche neoliberiste è morto: addio al libero scambio

di Vincenzo Caccioppoli
Joe Biden
Esteri

Gli Usa diventano autarchici: Joe Biden è una copia sbiadita di Donald Trump

Il mese scorso, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha tenuto un discorso in cui ha dichiarato che il "consenso di Washington" a favore delle politiche economiche neoliberiste era ufficialmente morto. Le precedenti amministrazioni statunitensi hanno esaltato il libero scambio, i flussi di capitali aperti e la disciplina fiscale come risposta ai problemi economici sia in patria che all'estero. L'amministrazione del presidente Joe Biden evidentemente non la pensa più così.

Queste politiche, ha affermato Sullivan, si sono dimostrate inadeguate ad affrontare sia la dislocazione e la disuguaglianza causate dalla globalizzazione sia la minaccia che i politici statunitensi vedono da una Cina in ascesa. Di conseguenza, per sostituirli è necessario un nuovo consenso, molto meno radicato nel neoliberismo. Il discorso di Sullivan ha evidenziato quello che è l'approccio dell'amministrazione Biden,nei confronti della globalizzazione e sul ruolo che l’America deve avere sul nuovo ordine mondiale. Gli Usa sembrano ora quasi costretti dalle circostanze e dal cambio paradigmatico del nuovo ordine geopolitico internazionale, a dare molta meno importanza ai mercati e al libero scambio, riabilitando al tempo stesso la politica industriale e il protezionismo.

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Come ha spiegato l'anno scorso il massimo funzionario economico di Biden, Brian Deese, l'amministrazione non è disposta ad accettare "che le decisioni individualizzate di coloro che guardano solo ai loro profitti privati ci lasceranno indietro nei settori chiave". Invece, l'amministrazione "si impegnerà in investimenti strategici in quelle aree che costituiranno la spina dorsale della crescita della nostra economia nei prossimi decenni". Finora l'amministrazione ha utilizzato il potere del governo per stimolare gli investimenti in tre settori strategici che a suo avviso non sono adeguatamente serviti dalla finanza privata: infrastrutture, semiconduttori ed energia verde. In questo senso Biden forse nemmeno troppo consapevolmente sta seguendo la politica autarchica, inaugurata da Trump, tanto criticato, dell’America First.

La Cina è cresciuta a dismisura proprio grazie ad una politica statunitense che ha contribuito a renderla, pro domo suo, la fabbrica del mondo. Al gigante economico statunitense che puntava all'alta specializzazione e alla tecnologia, conveniva produrre a basso costo nell’allora ancora poco sviluppata Cina. Ed è per questo che Clinton le ha aperto le porte del Wto, dando inconsapevolmente avvio a quel l'irreversibile processo, che ha portato l'economia cinese a sfidare il gigante a stelle strisce e contenderle, da alcuni anni, la prima posizione come potenza economica mondiale. Sola ora ci si è resi conto degli errori di leggerezza commessi in politica estera, da Clinton prima e soprattutto Obama dopo.

E come in una sorta di nemesi sembra toccare proprio a Biden, vicepresidente e responsabile di molti dossier esteri, primo tra tutti, proprio quello con la Cina (che non a caso nel 2020 nemmeno troppo velatamente si augurava una sua vittoria su l'odiato Trump) sotto all’amministrazione Obama, ora cercare di cambiare quella fallimentare strategia dell'apertura verso oriente e quel distacco dalla Nato. Organizzazione atlantica a cui Trump ha tolto finanziamenti e potere, ma il cui ruolo militare, strategico e politico ormai da tempo era stato completamente svuotato. Gli Usa non hanno più intenzione (né forse più la possibilità) di continuare a fare da guardiani del mondo. Questo era il messaggio che trapelava già con Obama, ma che è diventato chiarissimo ed evidente con Trump.

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Biden non ha potuto che continuare il percorso in politica estera, lasciato dal suo predecessore, ma commettendo errori marchiani, come quello del disastroso ritiro dall’Afghanistan. Ora la guerra in Ucraina ha certamente rappresentato uno shock che potrebbe anche determinare un cambio di svolta momentaneo, ma senza grandi stravolgimenti sulla direzione intrapresa dagli Usa in politica estera. "Il nostro obiettivo è una base tecno-industriale forte, resiliente e all'avanguardia in cui gli Stati Uniti e i suoi partner che la pensano allo stesso modo, economie consolidate ed emergenti, possano investire e su cui fare affidamento insieme" Ha affermato sempre Sullivan.

Per mantenere il proprio vantaggio militare e tecnologico, gli Stati Uniti stanno armando il sistema economico internazionale contro paesi autocratici come la Cina per ostacolarne lo sviluppo. L'amministrazione ha già imposto misure per limitare l'accesso della Cina alla tecnologia dei semiconduttori e presto introdurrà nuove regole per limitare gli investimenti tra i due Paesi. Oltre ad aumentare le tensioni con i ricchi alleati, il nuovo approccio alla politica commerciale dell'amministrazione Biden rischia di apparire ipocrita e insensibile alle nazioni meno sviluppate. L'amministrazione considera queste nuove politiche necessarie non solo per gestire l'ascesa della Cina, ma anche per affrontare la disuguaglianza interna.

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Quando è entrata in carica, l'amministrazione Biden ha promesso una "politica estera per la classe media". Ed è per questo che Biden non può fare altro che proseguire nelle politiche “populiste” di Trump, ma con la notevole differenza di apparire una sbiadita copia, e di non avere il carisma del suo predecessore. Trump aveva certamente creato tensioni con i principali alleati europei. Tensioni che certo Biden non ha saputo né voluto ricomporre, anzi in certi casi, come con la Francia, ha addirittura acuito.

Sebbene il segretario al Tesoro Janet Yellen abbia affermato che gli Stati Uniti coordineranno le loro azioni con i loro alleati "quando possibile", la nuova politica economica internazionale che Sullivan ha formalmente articolato il mese scorso è stata interamente "Made in America", non attraverso un processo di consultazione alleata. Basti pensare all’inflaction Act da 369 miliardi di aiuti, varato ad agosto scorso, che ha creato fortissimi malumori nei principali alleati europei. Non è un caso, allora, che il presidente francese Macron, nel suo recente viaggio in Cina abbia rilasciato dichiarazioni assai controverse, che testimoniano la grande freddezza ormai creatasi tra due alleati storici come Francia ed Usa. 

Per decenni, Washington ha denunciato i sussidi industriali di Pechino e le restrizioni agli investimenti esteri, mentre intimidiva le nazioni in via di sviluppo affinché liberalizzassero le proprie economie. Ma ora sta facendo la stessa cosa in patria. I sussidi statunitensi rendono più difficile per le nazioni meno ricche sviluppare le proprie industrie competitive, costringendole anche a fare una dura scelta geopolitica. Negli ultimi decenni, il commercio aperto ha sollevato dalla povertà centinaia di milioni di persone nel Sud del mondo. È anche uno strumento chiave per rafforzare i partenariati che potrebbero contribuire a plasmare il comportamento economico e geopolitico della Cina, come avrebbe dovuto fare la Trans-Pacific Partnership, che gli Stati Uniti hanno abbandonato.

Dopo anni passati ad esportare in giro per il mondo il loro modello di capitalismo, gli Usa hanno capito che questo è entrato profondamente in crisi, e che per competere con il modello di capitalismo di stato cinese, devono cambiare politica ed atteggiamento e diventare più autarchici. La fine della guerra fredda aveva portato al globalismo sfrenato. Ma lo strapotere cinese ha aperto un nuovo fronte di quella fase ed inevitabilmente la reazione non può che essere quella di una nuova chiusura da parte degli Usa verso il mondo. Al contrario invece di quella che sembra essere la politica espansiva del suo rivale cinese. Solo il tempo forse ci dirà se quale delle due scelte può essere quella vincente.

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