Aldo Grasso erede di Montanelli: l'ultimo baluardo del "politically incorrect"
In un mondo di patacche Grasso riesce a illuminare la Verità e lo fa con un certo gusto sadico
Aldo Grasso, in un mondo finto buonista dire la verità è semplicemente rivoluzionario
Aldo Grasso (75) è l’ultimo baluardo del “politically incorrect” in Italia, per citare il titolo di un famoso talk show made in USA e condotto da Bill Maher. “Politically incorrect” si traduce come “politicamente scorretto”, ma in realtà si dovrebbe tradurre “non ipocrita”, “veritiero”. In un mondo finto buonista –come è quello attuale- dire la verità è semplicemente rivoluzionario. La vera sovversione è mostrare che il Re è nudo, anzi nudissimo e si può sberlare.
Certo i giornalisti la verità non la possono dire fino in fondo perché ci sono le querele con cui il potere, pardon il Potere, cerca di controllare il gioco, ma nel terreno pur limitato c’è una intera gamma di possibilità, una sfumatura di colori tra cui scegliere anche le tinte estreme. E questo è ancora più vero nel mondo della televisione e del cinema, fatto di ego ipernarcisisti sempre pronti a mettersi al centro dell’universo mediatico e non.
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Ben venga quindi questa prosa ruvida e scontrosa, grezza ma efficace, di questo giornalista delle Langhe che della sua terra ha preso una certa scontrosità esistenziale innestata su una malinconia di fondo, come era quella del suo illustre conterraneo Cesare Pavese.
Grasso si laurea in Lettere con una raffinata tesi di Storia del cinema: “Teoria e prassi nell’opera prima di S.M. Eisenstein”, il celebre regista di capolavori del periodo sovietico come “La corazzata Potëmkin”, “Ottobre” e “Aleksandr Nevskij”. Professore universitario, è critico televisivo del Corriere della Sera dal lontano 1990 e famoso per i suoi temibili editoriali che contengono clamorose stroncature.
Sterminate le sue pubblicazioni sulla televisione e sul cinema. Ricordiamo solo la monumentale “Storia della Televisione” edita in due volumi per la Garzanti nel 1998: “La TV italiana delle origini” e il “Dizionario dei personaggi e dei termini tecnici e gergali”.
I suoi editoriali, o meglio Elzeviri, sono taglienti ed affilati e non fanno sconti a nessuno ma producono un piacere fisico al lettore che ne rimane imbrigliato e intimamente avvinto e giunge alla conclusione che “c’è un giudice a Berlino”. Grasso è l’erede degli Elzeviri televisivi che scriveva Sergio Saviane su l’Espresso, di cui il più celebre fu quello contro lo scrittore Alberto Moravia.
Grasso è anche il prosecutore dei temibili Editoriali di Indro Montanelli che, tra l’altro, fu amico dello stesso Saviane e anzi gli pagò una provvisionale immediatamente esecutiva di 40 milioni di lire richieste da Irene Pivetti, allora presidente della Camera, per un articolo pubblicato su “la Voce” che vide addirittura l’intervento della Digos.
In un mondo di patacche Grasso riesce a illuminare la Verità e lo fa con un certo gusto sadico, di colui che sa che è pericoloso ma che –come dice il vangelo di San Giovanni, “renderà liberi”.
Naturalmente si è fatto molti nemici, soprattutto tra finte baronesse dell’etere e indisponenti principini televisivi, ma anche molti estimatori che non vogliono la solita minestrina riscaldata e insipida. Un esempio di titolo “scorretto” recente: “La nuova Mediaset modello Techetecheté. Berlinguer è un bluff, Merlino faticherà”.
In questi giorni è impegnato in una querelle con Alessandro Orsini iniziata lo scorso anno a causa di un titolo ficcante: “Lo spiritato professore che fa esultare i putinisti di mezza Italia”. Un'altra perla filologica l’ha donata quando scrisse: “A Cartabianca c’è il clown, il nano, la donna cannone e ora pure Orsini”. Al che il professore sbroccò e travestitosi da Capo della Spectre replicò alla Marchese del Grillo: “Aldo Grasso, sai cosa penso dei tuoi articoli? Belli, mi fanno ridere. E sai perché? 10 mesi che io vengo insultato… Sono un esperto in rivoluzioni e un esperto in repressioni. E so esattamente quali tasti premere. E so quali sono le reazioni ai tasti che premo. Aldo Grasso, io ti faccio dire quello che io voglio dire”.
In realtà è Aldo Grasso che porta l’interlocutore, anche quando ha un aspetto compito e perbenino, a perdere le staffe premendo i tasti aggettivali giusti, come quel “spiritato” e l’accostamento alla “donna cannone”.
Grasso è un signore della sintassi provocativa, un barone dell’aggettivo devastante, un principe della filologia grammaticale. I suoi non sono scritti, ma siluri che filano dritto al bersaglio e quando esplodono lanciano detriti ovunque. Ben venga quindi chi dice pane al pane e vino al vino. Meglio un vero critico che cento finti adulatori.