"Benedetto XVI, il lavoratore della vigna del Signore che ha amato la Chiesa"

Parla il presidente della Cei Matteo Maria Zuppi: “Stato e Chiesa devono collaborare sicuramente per contrastare la povertà e per favorire l’educazione"

Matteo Zuppi
Politica

Il presidente della Cei Zuppi: "Ratzinger è stato un grande esempio di amore per il Vangelo e la Chiesa”

Riportiamo integralmente l'intervista esclusiva apparsa su Interris.it, a firma di Don Aldo Buonaiuto, a Sua Eminenza il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana

Dal ricordo personale di Benedetto XVI, a cosa fare per ricercare la pace, affrontando il tema della crisi educativa, la ricerca dei valori e un auspicio al nuovo governo. Sono questi alcuni temi che Sua Eminenza il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha affrontato nel corso dell’intervista che ha rilasciato in esclusiva ad Interris.it. Con molta chiarezza e semplicità ha toccato corde importanti per una riflessione su come superare i problemi che interessano al nostro Paese. Ha auspicato la collaborazione tra Chiesa e Stato al fine di “promuovere la costruzione e la diffusione del senso di comunità, dei diritti, dei doveri, ma mettendo sempre al centro di tutto la persona”.

Eminenza, abbiamo appena celebrato le esequie di Bendetto XVI. Qual è il principale lascito spirituale e pastorale del Papa emerito alla Chiesa italiana?
“Benedetto XVI si è descritto un umile lavoratore della vigna del Signore, parole che ci fanno comprendere l’essenzialità del servizio che ha svolto come successore di Pietro. Lascia un grande patrimonio di riflessione teologica e pastorale: un grande punto di riferimento. Penso alle sue encicliche, ma anche alle catechesi e alle omelie da lui pronunciare, testi di altissimo valore. Lascia, inoltre, l’importantissima indicazione di continuare a vivere lo spirito e la passione del Concilio Vaticano II, affinché la Chiesa sia sempre capace di parlare agli uomini di ogni generazione, e sia sempre in grado di unire fede e ragione, amore e verità. Benedetto XVI è stato un grande esempio di amore per il Vangelo e la Chiesa”.

Vuole condividere un ricordo particolare del Papa emerito? 
“Mi viene in mente un episodio che mi ha fatto capire quanto sia stato affettuoso e attento nei miei confronti. Dopo essere stati creati cardinali, siamo andati insieme a Papa Francesco a salutare Benedetto XVI. Con molto affetto ha ricordato il mio servizio alla Basilica di Santa Maria in Trastevere dove il Papa emerito ha celebrato il 50esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Abbiamo ripercorso le tappe del mio ministero. L’ho trovato molto debole, ma con la voglia di mantenere i legami con i suoi collaboratori”.

Il nuovo anno si apre con la situazione in Ucraina che richiede sempre più mediazione internazionale. Dalla sua positiva esperienza della pacificazione del Mozambico si può trarre la lezione che la pace è sempre possibile? In che modo?
“Dobbiamo credere che la pace sia sempre possibile e indispensabile. Come la guerra, così anche la pace ha una sua propria logica che deve essere intessuta, proposta in modo da coinvolgere quante più persone possibili. Lo sforzo che tutti noi, ognuno con le sue responsabilità, dobbiamo fare è proprio questo: affannarci, anzi disperarci per raggiungere la pace. La commozione che Papa Francesco ha mostrato (pregando per la pace in Piazza di Spagna nel giorno dell’Immacolata Concezione, ndr) è dovuta al fatto che questa sua speranza non si è ancora realizzata. Questa immagine ci dà l’idea dell’ansia necessaria, un’ansia che dovremmo avere tutti finché non avremo raggiunto la pace”.

Diceva San Giovanni Bosco: “Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore”. Quali risposte possiamo dare come adulti e agenzie formative all’odierna crisi educativa?
“Direi che come prima cosa bisogna rendersi conto che c’è una reale crisi educativa. Non bisogna rassegnarsi, o continuare a propinare ‘analisi’ o ‘ricette’. E’ ora di prendersi delle responsabilità. Questo vale per ognuo di noi. Credo, inoltre, nella necessità di un’alleanza che veda i vari soggetti educativi lavorare insieme”.

Papa Francesco ha chiesto una Cei che non viva per sé stessa. In che modo si può rendere la Chiesa più snella e vicina a chi soffre? Ci può fare qualche esempio?
“È necessario saper lavorare di più in rete, creare più meccanismi di comunione, andare meno in ordine sparso, essere più snelli e fare più cose, non quelle che servono all’istituzione, ma quelle necessarie per rispondere alle domande delle persone. A volte pensiamo esattamente l’opposto… allora la ‘macchina’ diventa troppo grande e rischia di appesantirsi ed essere inutile”.

Eminenza lei ha recentemente ricordato che la Costituzione italiana è ispiratrice di grandi valori: accoglienza, educazione, solidarietà. In quali ambiti può essere più efficace e fruttuosa la collaborazione fra Stato e Chiesa?
“Stato e Chiesa devono collaborare sicuramente per contrastare la povertà e per favorire l’educazione. La vera collaborazione può essere messa in atto in ogni campo. Insieme devono promuovere la costruzione e la diffusione del senso di comunità, dei diritti, dei doveri, ma mettendo sempre al centro di tutto la persona”.

Vuole fare un auspicio al nuovo Governo? 
“Auspico che non perda le sue opportunità. Questo in realtà, è un augurio che faccio a tutti. Stiamo vivendo mesi decisivi e il Piano nazionale di ripresa e resilienza non è solo tattico, ma direi strategico. Il governo deve lavorare per non farsi scivolare fra le dita questa grande occasione: vorrebbe dire ipotecare in negativo il nostro futuro e quello delle prossime generazioni”.

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