Carlo Calenda e Matteo Renzi: dal Terzo Pol(l)o al bullismo quotidiano

Il leader di Azione è attaccato quotidianamente dall'ex premier dopo la rottura dell'alleanza, e sull'ipotesi di scioglimento dei gruppi Az-Iv la mette giù dura

Di Giuseppe Vatinno
Politica

Carlo Calenda e Matteo Renzi: dal Terzo Polo al bullismo quotidiano

C’è un dramma che si consuma quasi quotidianamente: un politico famoso, toscano, ex presidente del Consiglio, bullizza selvaggiamente un politico romano, ex ministro e nipote di un famoso regista. Avete capito di chi si tratta?

Ma sì che avete capito, si tratta di loro due, l’ex duo del “gatto e la volpe”, Matteo Renzi e Carlo Calenda. Coloro i quali volevano fare il Terzo Pol(l)o e l’opera gli è riuscita male come un budino caramellato al sale rosa. E dire che erano stati avvertiti. Dalla fine della Balena Bianca chi non ha provato a ricostruirla tra i centristi? Un po’ tutti. L’ultimo fallimento fu quello di Casini-Rutelli-Fini.

Ma torniamo ai due che litigano manco fossero nel film “La guerra dei Roses” dell’inarrivabile Danny De Vito. “C’eravamo tanto amati”, avrà pensato quel romanticone di Calenda che è il nipote di Luigi Comencini, quello, guarda caso, della serie televisiva di Pinocchio, il buratto bugiardo a cui si allungava il naso. Prima delle ultime fatiche elettorali dello scorso anno Calenda s’era incoronato imperatore, e a dire il vero si è messo poi pure una buffa coroncina tra i capelli, invero forforosi, almeno d’estate. Dalla Gruber fece come Celestino V il “gran rifiuto” all’imperatore Letta e così tornò nelle braccia di Renzi che sacrificò vitelli e ztl pur di festeggiare il ritorno del grasso figlio prodigo. Ma dopo poco i due cominciarono a beccarsi, a lanciarsi frecciatine, a dissentire, a puntualizzare.

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Uno, quello più furbo, il toscano quindi, se ne andava per il globo terracqueo - come dice la Meloni - a fare conferenze che profumavano di petrodollari l’altro invece si doveva accontentare dei sandwich ai Parioli. Che sono sempre dei signori sandwich, intendiamoci, e dei Parioli hanno il costo stellare, ma pur sempre un magro pasto per cotanto uomo. Sudava Calenda, mentre roteava come un derviscio tra le Flaminia e la Cassia. Pensava di essere diventato l’ago della bilancia, voleva fare la politica dei due forni, peccato però che fossero entrambi di Renzi, ma lui non l’aveva capito. Poi le prime batoste elettorali l’hanno riportato alla realtà. Renzi - che stupido non è - ha capito subito che Calenda era divenuto ormai solo un peso per lui e che dopo averlo usato per entrare in Parlamento non serviva più.

E così, come si lamenta lo statista dei Parioli, ogni giorno Renzi lo attacca, gli chiede se ha preso la pillolina per le crisi e se sì se l’ha magari presa sbagliata, distratto com’è. Lui dice che no, ha preso quella giusta, e che se mai è colpa della colf che gliele ha scambiate, ma poi rettifica, perché magari ha la donna delle pulizie straniera e gli danno pure del razzista, questi ingrati degli italiani e poi si sa che i giornalisti gli inzuppano in queste cose. E ancora lo stesso Calenda si lamenta che la Boschi gli dia del “pazzo” e qui siamo ancora alla storia delle “pilloline”.

“Paita” (non so chi sia) invece gli dice che è “indecente” e così ieri lui la mette giù dura sullo scioglimento possibile dei gruppi Az-Iv (non è un dentifricio) con mica tanto larvato minaccione: “Aggiungo un dettaglio sull’ipotesi di scioglimento: ricordo che, secondo il Regolamento di Palazzo Madama, in caso di rottura di un gruppo in comune, per formarne uno autonomo servono nove senatori e non sei, come leggo sui giornali. Il presidente la Russa dovrebbe dare una deroga ad personam”. Questi cattivoni dei giornalisti stanno cercando di tranellarlo un’altra volta. Incorreggibili.

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Ma il povero Calenda non sa come vanno queste cose perché da ex giovane dei Parioli non si ricorda come Antonio Di Pietro fregò alla grande Walter Veltroni nel 2008 e - con baldanza e audacia dannunziana - si fece il gruppo suo, mettendo il buonista di fronte al fatto compiuto. E neanche si ricorda che poi Gianfranco Fini, presidente della Camera nel 2012, diede appunto una deroga ad personam a Di Pietro per conservare il gruppo di IdV alla Camera. “Ehhh lo fanno, lo fanno”, come ci raccontava un altro regista, amico del nonno, in “Bianco, Rosso e Verdone”.

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