Da Calamandrei ad Apostolico, il terrore dell'indipendenza inguaia i giudici
Secondo Calamandrei "la peggiore sciagura che può capitare a un magistrato è quella di ammalarsi del terribile morbo dei burocrati"
Il giurista toscano: "Il potere del giudice, “soggetto solo alla legge”, deve essere raccordato al principio di responsabilità"
Il potere del giudice, “soggetto solo alla legge”, deve essere raccordato al principio di responsabilità. Una responsabilità, che va ben al di là di quella penale o disciplinare, pur importante, perché afferisce all’habitus mentale di chi è chiamato a decidere, che deve essere, ed apparire, terzo rispetto alle parti, consapevole che proprio sulla sua terzietà si fonda, in definitiva, il suo compito di rendere giustizia. Lo affermava già Piero Calamandrei (1889-1956), Padre costituente, per il quale non costituivano pericolo, allora, la “rara corruzione penale” o le “simpatie politiche”.
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Esiziale, invece, era – ed è – un altro pericolo, che non viene da fuori e che, perciò, è ancora più subdolo. Si tratta del “lento esaurirsi delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate: una crescente pigrizia morale, che sempre più preferisce alla soluzione giusta quella accomodante, perché non turba il quieto vivere e perché l’intransigenza costa troppa fatica. La peggiore sciagura, che può capitare a un magistrato – concludeva Calamandrei – “è quella di ammalarsi del terribile morbo dei burocrati, che si chiama conformismo. È il terrore della propria indipendenza, una specie di ossessione, che non attende raccomandazioni esterne, ma le previene”. Nulla di più vero. Peccato, però, che tanti magistrati, che nella loro vita professionale hanno mostrato di non avere contratto il “morbo dei burocrati”, siano stati poi, forse proprio per questo, tacciati di “protagonismo".